venerdì 27 gennaio 2017

Memoria e bucce di patate

Zio Fello è morto nel 1983, quando ancora pochi si erano resi conto del valore della memoria. Zio Fello era stato internato. Non perché ebreo, non perché oppositore politico. Si era trovato in mezzo al gran caos seguito all'8 settembre, alla ritirata-disfatta di Russia, al “tutti a casa” e “tutti nemici”. Zio Fello non ne parlava volentieri ma ogni tanto ricordava che “i tudesch m'avevan preso”. Non so in che campo fosse finito, non so come ne fosse uscito. Zio Fello è morto prima che si capisse l'importanza di raccontare e i miei 16 anni, tanto impegnati quanto distratti, non m'hanno mai spinto a far quel passo che oggi rimpiango di non aver compiuto: chiedere. Perchè zio Fello non raccontava volentieri di quel periodo, ma ogni tanto qualcosa gli scappava.
Le bucce di patate.
Le unghie strappate.
I denti spariti.
Flash, piccoli sprazzi. Ricordi di quel folletto sempre allegro, così vedo zio Fello, che si rabbuia un po' e poi ridendo mi spiega di che tesoro erano quelle bucce di patate trovate nel rusco, tra l'immondizia. “Festa, festa davvero. A comme l'eran bonne”.
E le unghie strappate. “Al fa mele davera, t'sa?”.
E poi la risata, grassa e incontenibile. “Ma te scherza? Un dente, ma va là”… aveva male alla dentiera – i denti li aveva persi tutti nel campo – e non capiva, poi s'è ritrovato “un dentin, come un cinno”… e rideva, rideva come se si fosse preso una gran rivincita.

Ci penso oggi, ci penso ogni tanto. Zio Fello aveva visto, e io distratta non ho raccolto. Perchè zio Fello aveva visto. Una volta ho chiesto se sapesse delle camere a gas. Lui, piccolo uomo sempre in movimento, si è bloccato per un attimo. Un istante solo, ma è bastato a farmi intuire che si, quell'orrore probabilmente gli era passato vicino. Non ho approfondito, non ho chiesto. Solo anni dopo, quando ormai era tardi, ho capito. E i ricordi, pochi e frammentati, lasciati da zio Fello son comunque un pezzo di quella memoria che abbiamo il dovere di non perdere. Di non dimenticare.