Zio
Fello è morto nel 1983, quando ancora pochi si erano resi conto del
valore della memoria. Zio Fello era stato internato. Non perché
ebreo, non perché oppositore politico. Si era trovato in mezzo al
gran caos seguito all'8 settembre, alla ritirata-disfatta di Russia,
al “tutti a casa” e “tutti nemici”. Zio Fello non ne parlava
volentieri ma ogni tanto ricordava che “i tudesch m'avevan preso”.
Non so in che campo fosse finito, non so come ne fosse uscito. Zio
Fello è morto prima che si capisse l'importanza di raccontare e i
miei 16 anni, tanto impegnati quanto distratti, non m'hanno mai
spinto a far quel passo che oggi rimpiango di non aver compiuto:
chiedere. Perchè zio Fello non raccontava volentieri di quel
periodo, ma ogni tanto qualcosa gli scappava.
Le
bucce di patate.
Le
unghie strappate.
I
denti spariti.
Flash,
piccoli sprazzi. Ricordi di quel folletto sempre allegro, così vedo
zio Fello, che si rabbuia un po' e poi ridendo mi spiega di che
tesoro erano quelle bucce di patate trovate nel rusco, tra
l'immondizia. “Festa, festa davvero. A comme l'eran bonne”.
E
le unghie strappate. “Al fa mele davera, t'sa?”.
E
poi la risata, grassa e incontenibile. “Ma te scherza? Un dente, ma
va là”… aveva male alla dentiera – i denti li aveva persi
tutti nel campo – e non capiva, poi s'è ritrovato “un dentin,
come un cinno”… e rideva, rideva come se si fosse preso una gran
rivincita.
Ci
penso oggi, ci penso ogni tanto. Zio Fello aveva visto, e io
distratta non ho raccolto. Perchè zio Fello aveva visto. Una volta
ho chiesto se sapesse delle camere a gas. Lui, piccolo uomo sempre in
movimento, si è bloccato per un attimo. Un istante solo, ma è
bastato a farmi intuire che si, quell'orrore probabilmente gli era
passato vicino. Non ho approfondito, non ho chiesto. Solo anni dopo,
quando ormai era tardi, ho capito. E i ricordi, pochi e frammentati,
lasciati da zio Fello son comunque un pezzo di quella memoria che
abbiamo il dovere di non perdere. Di non dimenticare.
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