Giorni
che sarebbero dovuti essere di gioia, emozione e orgoglio puro. Il
mio lavoro a Palazzo della Regione, commenti e complimenti, oro e
mirra sul mio orgoglio bipolare, sulla mia presunzione tenuta a freno
per tutta la vita, sull’incredulità di aver saputo CREARE qualcosa
che altri capiscono e apprezzano. Sapore ricco e incredibilmente
dolce per un piatto che mai pensavi di poter assaggiare.
E
bile che sale non appena socchiudi gli occhi e vedi, con mente,
cuore, pelle e ossa, l’immagine che non corrisponde a quello che
hai dentro, ad un padre che è sempre stato la tua roccia, il tuo
faro, la tua guida.
Quell’uomo
che hai amato con tutta te stessa, di quell’amore che solo una
figlia sa cosa può essere. E hai odiato con altrettanta forza quando
dovevi mostrare di essere altro da lui, dalle regole, dal suo essere
incredulo genitore di un’adolescente ombrosa e intrattabile. Con un
odio che sai essere venato di talmente tanto amore da non poter
essere definito tale.
Quell’uomo
tanto simile a me che l’amore infinito che ci lega non è fatto di
parole e lunghi discorsi quanto di silenzi, a volte occhiate, a volte
scherzi che ad occhi estranei appaiono incomprensibili.
Quell’uomo
che vedo bloccato in una ragnatela di ansia, paura, arrendevolezza e
rassegnazione che non sono lui. Che fanno arrabbiare. Incazzare è la
parola giusta.
Giorni
così, alla disperata ricerca di un gancio cui aggrapparsi per non
affogare, per non cedere al senso di colpa che ti soffoca se appena
appena gioisci e alla rabbia che ti afferra la gola quando il
pensiero egoista del “ma perché proprio adesso” si affaccia.
Giorni
che pesano sulle spalle, che travolgono e scorrono impetuosi. Giorni
che non so come affrontare. Giorni.