C’è
un giorno che ti accorgi che certe storie ti sono entrate nelle ossa,
che danno un prurito che non sai spiegare. C’è un giorno in cui ti
rendi conto che qualcosa non va, e ti fai due domande. Fai due conti.
E capisci. Ti occupi di cronaca nera da tanti anni, ma non hai mai
messo assieme i pezzi di un puzzle cui nessuno ancora – allora -
aveva pensato: quante donne, di ogni età, estrazione e cultura
diventano “poche righe in cronaca”.
E
ci pensi, e fai due ricerche, allora chiesi anche un piacere agli
attivissimi e bravissimi archivisti del Corriere della Sera che con
un rapido controllo mi fornirono un numero impressionante di “casi”.
Ecco, quello erano, casi… l’idea iniziale era quella di mettere
insieme i “casi” irrisolti e magari proporre un po’ di articoli
“freddi”. Poi quel tarlo, quel prurito indefinito è tornato a
farsi vivo, e mi sono ritrovata a voler dare voce a chi voce non
aveva più. Nasce così “Donne a Perdere”, poco meno di un
ventina di racconti tutti o quasi ispirati a fatti reali, che si è
costruito quasi da solo nell’arco di pochi, pochissimi anni.
Raccolta
che ho fatto girare – poco – tra editori distratti e associazioni
disinteressate, compresa da qualche amministratore agli esordi delle
iniziative per il 25 novembre, con qualche racconto letto con
emozione, e finita poi in un cassetto. Un po’ per pigrizia, un po’
per innata e immensa insicurezza, Donne a Perdere è rimasto lì,
piccolo pungolo inascoltato.
Fino
a quando quello stesso pungolo è tornato a farsi sentire in
un’artista vulcanica e inarrestabile. Perchè diciamocela tutta,
Carla Bruschi era stata uno di quegli amministratori locali che aveva
compreso il senso di “Donne a Perdere” e l’impressione è che
non le sia mai andata giù il non aver potuto fare qualcosina di più.
Questa
volta però mi ha letteralmente preso per i capelli, mettendomi
davanti a qualcosa che io, imbrattacarte di professione, nemmeno
immaginavo: la trasformazione delle mie parole in immagini potenti ed
evocative.
Perchè
io che non sono per nulla avvezza a dipinti e critiche artistiche,
nei quadri di Carla vedo tutta la storia che ho cercato di mettere in
parole. E allora questa mostra che sta prendendo corpo, che dopo una
genesi durata anni (confesso, il primo racconto nasce nel 2006…) è diventata realtà nel giro di pochissimi mesi, ecco, questa mostra
credo possa davvero dare un senso a quel prurito, a quella voglia di
andare oltre il mestiere di cronista per dare davvero voce alle
vittime.
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