giovedì 27 agosto 2015

Pensieri

Torno sulle mie montagne – montagne, in realtà colline ma per me resta la mia montagna – e ancora una volta mischio l'emozione di sentirmi a casa e il dolore per un evento che non avrebbe dovuto accadere. Cammino per la strada – strada perché una è, non è un modo di dire – e guardo i boschi che circondano le quattro case del mio paese e penso che troppe volte li ho visti con occhi offuscati dalle lacrime. Cammino e penso, penso e cammino, e mi fermo davanti alla chiesa imponente, un tempo la pieve principale di tutta la vallate, edificio caduto in rovina e rinato grazie alla testardaggine di chi è cresciuto alla sua ombra. La guardo e ricordo quando ci entravo da bambina, inconsapevole e un po' blasfema – che non son cambiata molto ma vabbeh – e mi sembrava tanto bella. Non la Casa di Dio, questo no, perché se davvero esiste quel Dio che dicono non ha certo bisogno di una casa, ma era , ed è, un posto bello, un simbolo, il centro di una comunità piccolissima – d'inverno qua adesso vivono quattro nuclei familiari, due dei quali composti da una singola persona – ma dal cuore grande e indomabile, che non si è rassegnata, ha stretto i denti, s'è rimboccata le maniche e ha compiuto quello che davvero può apparire come un miracolo. La guardo, e penso a cosa vuol dire per me, che ci sono entrata con spirito lieve per tutta la vita, tranne che in quelle occasioni che non si vorrebbe mai vivere. E ci torno oggi, con un'altra pietra sul cuore. Normale e certo non originale, però guardo il mio paese, le sue quattro case, l'aia polverosa e la strada, e quell'edificio immenso e poderoso, che se ci pensi bene sembra proprio fuori luogo in questo posto. Però mi dico “è giusto così”. E torno a camminare, pensare e camminare.

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