
fiabe racconti e storie... esperimenti in corso... sogni di carta e viaggi nelle parole...
lunedì 3 dicembre 2018
TROPPO. E BASTA

giovedì 15 novembre 2018
RIECCOCI!

Chi
mi conosce lo sa, questo non è un periodo bello per me e per la mia
famiglia, ma portare “Donne a Perdere” a San Giuliano, e in una
sala che evoca ricordi e sensazioni importanti, è una sorta di
medicina che aiuta, un balsamo – scontato lo so, ma l’immagine è
quella che più rende l’idea – capace di attenuare, seppur
lievemente, il dolore che abbiamo dentro.
Il
motivo è presto detto: con San Giuliano “Donne a Perdere” ha un
legame particolare: nel 2012, in occasione di una delle prime
iniziative organizzate per il 25 novembre, l’allora assessorato ai
servizi alla persona mi chiese di partecipare, con i miei racconti, a
“Chiedi a me”, pomeriggio di incontro, riflessione e confronto
che ricordo con piacere ed emozione. Donne a Perdere, quindi, un
pochino torna a casa…
Ed
essere ospitate nella sala dedicata a Mario Tapia, ecco, anche questo
è fonte di grande emozione, perché Mario, artista, pittore,
divulgatore, era un amico con il quale la mia famiglia ha condiviso
tanti momenti importanti, e che tornava spesso nelle parole e nei
ricordi di mamma e papà.
Ecco,
si, arrivare a San Giuliano con questa mostra, cui io e Carla
crediamo davvero molto, ha per me un valore immenso. Ripeto, potrebbe
sembrare piaggeria ma credetemi, non è così… sarà un’occasione
speciale, e la messa alla prova di un progetto in cui abbiamo
investito una parte importante del nostro essere donne che
condividono il sogno di lasciare almeno un piccolo segno in una
battaglia, quella contro la violenza, che riteniamo fondamentale.
Quindi
lasciatemelo dire, anche se può apparire come furbo tentativo di
promuovere un evento: grazie a San Giuliano, e grazie a chi ha saputo
cogliere il senso di “Donne a Perdere”. E vi aspettiamo dalle 17
di domenica 18 novembre.
martedì 6 novembre 2018
Ciao papà

E poi scopri che quello che hai sempre guardato come il tuo eroe, il modello da imitare e anche un po’ da combattere – perché questo sono gli eroi/papà per le figlie – quello che hai sempre pensato esempio di rigore, onestà, correttezza, ecco, quello un po’ eroe lo era per davvero, ma nel senso vero del termine… lo scopri attraverso le parole commosse e spezzate di un collega che arriva trafelato per l’ultimo saluto e la prima cosa che ti dice è “io a questo qua devo la vita, lui lo sa, gli devo la vita”…

Lo
ascolto, guardo gli occhi lucidi, sento le parole. E cresce ancora
l’orgoglio. Quello, quello lì è stato – E’ - il mio papà. E
mi sento felice di essere riuscita a rintracciare chi ha fatto parte
di quel pezzo di vita di papà che noi figlie conoscevamo solo per
racconti frammentari, a volte raccontati ridendo a volte un po’
romanzati. Anni che sono stati importanti per papà, lo sappiamo, e
sono stati importanti per chi era con lui in quel posto di lavoro che era qualcosa di più di uno stipendio da portare a casa, era orgoglio di
appartenere ad una “squadra” capace di far volare l’Italia.
Felice di aver ritrovato un pezzo di quegli anni, piccolo lo so
perché non c’è stato il tempo che pensavamo di avere, e di aver
ricevuto, inaspettato, il dono di quel ricordo che mi ha riportato il
mio papà EROE.

Ciao
papà, ciao mio eroe, ciao nonno meraviglioso capace di trasmettere
un patrimonio di amore che, te lo giuriamo, non andrà disperso.
lunedì 24 settembre 2018
Giorni un po' così...
Giorni
che sarebbero dovuti essere di gioia, emozione e orgoglio puro. Il
mio lavoro a Palazzo della Regione, commenti e complimenti, oro e
mirra sul mio orgoglio bipolare, sulla mia presunzione tenuta a freno
per tutta la vita, sull’incredulità di aver saputo CREARE qualcosa
che altri capiscono e apprezzano. Sapore ricco e incredibilmente
dolce per un piatto che mai pensavi di poter assaggiare.
E
bile che sale non appena socchiudi gli occhi e vedi, con mente,
cuore, pelle e ossa, l’immagine che non corrisponde a quello che
hai dentro, ad un padre che è sempre stato la tua roccia, il tuo
faro, la tua guida.
Quell’uomo
che hai amato con tutta te stessa, di quell’amore che solo una
figlia sa cosa può essere. E hai odiato con altrettanta forza quando
dovevi mostrare di essere altro da lui, dalle regole, dal suo essere
incredulo genitore di un’adolescente ombrosa e intrattabile. Con un
odio che sai essere venato di talmente tanto amore da non poter
essere definito tale.
Quell’uomo
tanto simile a me che l’amore infinito che ci lega non è fatto di
parole e lunghi discorsi quanto di silenzi, a volte occhiate, a volte
scherzi che ad occhi estranei appaiono incomprensibili.
Quell’uomo
che vedo bloccato in una ragnatela di ansia, paura, arrendevolezza e
rassegnazione che non sono lui. Che fanno arrabbiare. Incazzare è la
parola giusta.
Giorni
così, alla disperata ricerca di un gancio cui aggrapparsi per non
affogare, per non cedere al senso di colpa che ti soffoca se appena
appena gioisci e alla rabbia che ti afferra la gola quando il
pensiero egoista del “ma perché proprio adesso” si affaccia.
Giorni
che pesano sulle spalle, che travolgono e scorrono impetuosi. Giorni
che non so come affrontare. Giorni.
sabato 8 settembre 2018
GENESI DI UN'AVVENTURA

E
ci pensi, e fai due ricerche, allora chiesi anche un piacere agli
attivissimi e bravissimi archivisti del Corriere della Sera che con
un rapido controllo mi fornirono un numero impressionante di “casi”.
Ecco, quello erano, casi… l’idea iniziale era quella di mettere
insieme i “casi” irrisolti e magari proporre un po’ di articoli
“freddi”. Poi quel tarlo, quel prurito indefinito è tornato a
farsi vivo, e mi sono ritrovata a voler dare voce a chi voce non
aveva più. Nasce così “Donne a Perdere”, poco meno di un
ventina di racconti tutti o quasi ispirati a fatti reali, che si è
costruito quasi da solo nell’arco di pochi, pochissimi anni.

Fino
a quando quello stesso pungolo è tornato a farsi sentire in
un’artista vulcanica e inarrestabile. Perchè diciamocela tutta,
Carla Bruschi era stata uno di quegli amministratori locali che aveva
compreso il senso di “Donne a Perdere” e l’impressione è che
non le sia mai andata giù il non aver potuto fare qualcosina di più.
Questa
volta però mi ha letteralmente preso per i capelli, mettendomi
davanti a qualcosa che io, imbrattacarte di professione, nemmeno
immaginavo: la trasformazione delle mie parole in immagini potenti ed
evocative.
Perchè
io che non sono per nulla avvezza a dipinti e critiche artistiche,
nei quadri di Carla vedo tutta la storia che ho cercato di mettere in
parole. E allora questa mostra che sta prendendo corpo, che dopo una
genesi durata anni (confesso, il primo racconto nasce nel 2006…) è diventata realtà nel giro di pochissimi mesi, ecco, questa mostra
credo possa davvero dare un senso a quel prurito, a quella voglia di
andare oltre il mestiere di cronista per dare davvero voce alle
vittime.
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