martedì 9 marzo 2010

LEON E KIKU IZO

Certo che vivere nel paese di Izo non era una gran bella cosa… Si, lo so, non sapete di cosa sto parlando ma mi è venuto spontaneo. Quando ho saputo dell’esistenza di quel posto, beh, mi sono sentita male per i suoi abitanti.
Forse è meglio spiegare. Il paese di Izo è un villaggio sperduto in mezzo alle montagne di Acrù, dalle parti di Gentaglia… ma si, dai, nel bel mezzo della foresta inesplorata. Ecco, proprio là. Izo non è il nome del villaggio, ma del capo di quel posto. Izo era un vecchio ricco e potente che, da giovane, era stato capace di farsi amare da tutti i suoi concittadini tanto che quando il vecchio re, Mikaio, morì senza eredi, decisero di nominarlo Kiku, che vuol dire praticamente presidente, del paese.
Solo che una volta diventato Kiku, Izo si rivelò ben diverso da quello che si pensava. Nessuno aveva ben capito come e perché, ma Kiku Izo si trasformò in un tiranno. Si circondò di sgherri – che sono un po’ come soldati ma peggio – che facevano rispettare le sue leggi a suon di bastonate. E le leggi di Kiku Izo non erano proprio facili da rispettare…
Una delle prime emanate poi, e probabilmente la peggiore, vietava a tutti di ridere e sognare. Vietato scherzare, vietato giocare, vietato inventare storie. Le favole poi… se qualche bimbo veniva sorpreso a pensare a maghi, fate, folletti e gnomi, beh, gli sgherri lo portavano via, e nessuno lo vedeva mai più.
Ecco perché mi sono sentita male per gli abitanti di quel paese. Insomma, io senza favole, storie e risate proprio non so stare. Che poi, qual è quel bambino che non ama sognare, inventarsi mondi fantastici e trasformarsi in cavaliere senza macchia e senza paura?
Appunto. Solo che nel paese di Izo non si poteva, e nel giro di pochissimo tempo i suoi abitanti si trasformarono in fantasmi tristi, gli occhi sempre bassi, sempre attenti a non farsi notare e a non farsi sentire. Tutto questo durò per tanti, tantissimi anni. Kiku Izo diventò sempre più vecchio e sempre più dispotico, e i suoi sgherri sempre più cattivi e violenti. C’è da dire però che per fortuna il caso, il destino o il fato – chiamatelo come volete – ogni tanto si ricorda di guardare in giù, verso la terra… e nel paese di Kiku Izo, un giorno, successe. Cosa? Una cosa semplice e normale, se vogliamo… in una delle povere e tristi casette nacque un bimbo. Non è che ne nascessero tanti, a quel tempo… la gente triste e spaventata non voleva che nuovi bambini dovessero vivere in quel luogo cupo. Ma a casa di Kanè e Jugo la speranza non mancava. E arrivò Leon.
Niente di speciale, intendiamoci. Leon era un bimbo come tanti, piccolo, paffuto e bellissimo come ogni nuovo nato. La gioia di mamma e papà. Che pure quella gioia dovevano tenerla nascosta. Immaginate la felicità per strilletti e risatine di un bimbo, e il dolore per non poterla mostrare in quel paese tanto triste. Tanto più che, diciamocelo, Leon qualcosa di speciale lo aveva davvero: era allegro, allegrissimo, e fin dai primi giorni di vita sapeva strappare un sorriso anche al più burbero degli anziani. Come facesse non si sa. Semplicemente gli bastava guardare un grande, fare un sorrisino e una faccetta buffa, e dentro sentivi un moto di allegria che proprio non riuscivi a trattenere.
Per questo Kanè e Jugo decisero ben presto che non era il caso di portare Leon in giro per il villaggio. Fosse mai che il piccolo strappasse un sorriso inopportuno davanti agli sgherri di Kiku Izo.
E così Leon crebbe nascosto agli occhi dell’intero villaggio. Kanè e Jugo non gli facevano mancare niente, lo coccolavano e lo divertivano, ma immaginate che vita triste si prospettava per il piccolo! Che però la tristezza non sapeva proprio cos’era. Gli bastava poco per sentirsi felice, e ancora meno per far felice chi gli stava accanto.
Gli anni passarono, sempre uguali, tristi e grigi in quello sfortunato villaggio. Fino a quando successe.
Leon era ormai grandino, credo avesse 6 anni (pochini, lo so, ma cresciuto attorniato solo da adulti ben selezionati aveva imparato tanto e in fretta!), e un giorno, quando mamma e papà erano impegnati nelle normali attività di ogni adulto, Leon sentì che non poteva più aspettare. Perché, e qui devo davvero spiegare, Leon aveva sopportato tutti quegli anni di solitudine e tristezza, sempre circondato da soli grandi tristi e grigi, spaventati e increduli per la sua innata allegria, li aveva sopportati dicevo grazie ad un piccolo (ma neanche tanto!) segreto: quando Leon nacque, quel famoso fato-destino-caso che dicevo gli aveva assegnato niente meno che… una fata. Già, proprio una di quelle creature, reali o di fantasia che siano, che Kiku Izo aveva bandito, vietato, cancellato. Ma fantasia, sogni e allegria, lo sapete vero, non si possono cancellare per legge! E quella fata, che si chiamava Genna, era ovviamente la migliore amica e consigliera di Leon. Quel giorno, appunto, i due decisero che basta, non si poteva più aspettare, che le cose erano andate troppo oltre e che nessuno poteva trasformare la vita degli altri in una specie di inferno in terra.
Leon, con Genna appollaiata (e invisibile) sulla spalla, varcò la soglia di casa e si diresse con passo deciso al centro del suo villaggio, proprio sulla soglia del palazzo di Kiku Izo. Piantato a gambe larghe davanti all’uscio (ma ve lo immaginate? Uno gnometto piccolo e buffo, con la faccetta seria seria e l’espressione decisa! Che spettacolo che doveva essere!) tirò fuori una voce che mai t’immagini in un bimbo di 6 anni: “Kiku Izo – strillò a pieni polmoni – fatti vedere che ho da dirtene quattro”.
E aspettò… i primi ad arrivare furono ovviamente gli sgherri, armati di bastoni, ma Leon non si lasciò intimidire: “provate a toccarmi, e dal cielo pioveranno lampi di fuoco a incenerirvi” strillò. E Genna provvide a far sentire tuoni e lampi che paralizzarono gli sgherri.
Kiku Izo, sorretto da servi e ancelle, arrivò. “Chi sei? Che vuoi? Come ti permetti mostriciattolo insolente che non sei altro? Finirai nella più buia delle mie prigioni se non torni immediatamente nel buco da cui sei uscito”, disse il terribile vecchio.
“Nessun buco – rispose Leon – e nessuna prigione”. E si avvicinò lesto a Kiku Izo deciso a mettere alla prova quel potere che vi dicevo. Leon, per nulla intimidito e spaventato, sfiorò una mano al vecchio, poi la prese e se la mise sul cuore. “Guardami, toccami, sentimi – disse – pensa a cosa hai perso in tutti questi anni”.
Un gesto stupidino, privo di senso, vero? Però, però forse era quello che da tanti anni Kiku Izo aspettava… chissà, forse diventando Kiku aveva improvvisamente perso tutto quello che arricchisce la vita di ogni uomo, forse aveva avuto paura di quello che voleva dire diventare capo… non lo so, davvero non lo so, e non so neanche spiegare perché bastò il gesto semplice semplice di un bambino per far accadere quello che sembra un miracolo: Kiku Izo scoppiò a piangere. Si, lacrime irrefrenabili, copiose. Lacrime che crearono pozzanghere ai piedi dei due.
Leon allora prese la mano del vecchio e lo portò nel palazzo, e qui restarono a parlottare tra loro per ore. Nessuno sa cosa si dissero, e probabilmente nessuno lo saprà mai. Ma il risultato fu incredibile: Kiku Izo disfò tutte le leggi assurde fatte, sciolse le squadre di sgherri e stabilì che da quel momento la gente doveva tornare a ridere, sognare e divertirsi quanto e come voleva.
Poi, con tutto il villaggio riunito incredulo nella piazza, annunciò che se ne sarebbe andato, e che da quel momento il paese sarebbe stato guidato non più da un uomo solo, ma da almeno tre, scelti tra i più saggi.
Si fa fatica a crederci, vero? Ma da quel giorno quel paese riprese a vivere! E Leon? Beh, Leon crebbe, diventò forte e saggio sempre accompagnato dalla sua fedele amica Genna. E mi è giunta voce che non sia rimasto nel suo paese ma stia girando per il mondo, nascosto sotto panni insospettabili, per continuare la sua missione: portare allegria, fantasia e gioia in ogni angolo!

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