lunedì 29 marzo 2010

STORIA DI LUDMILLA

Questa non è una fiaba... è il primo di una serie di racconti "seri".


Sedici anni, la testa piena di sogni e il mondo stretto nel pugno. Tutto da conquistare.
Ricordi come ero? Giovane, ingenua, carina, decisa a mordere la vita e convinta di avere ogni numero giusto, carte truccate per sconfiggere la partita della vita. Ci credevo davvero, ricordi? Ricordi quando dicevo che me ne sarei andata da quel posto sperduto, da un paese che non offriva niente? Che io non sarei mai stata come mia madre, il ventre sformato dalle troppe gravidanze, le mani gonfie e rosse per i troppi panni lavati, la schiena distrutta dai figli da cullare, la legna da tagliare e l’acqua da portare a casa. No. Io non sarei mai diventata come lei. Io no. Io avevo i miei sogni. Una casa in città, in un posto elegante. Un salotto buono per accogliere amici, un lavoro importante. E un uomo tutto per me, che mi avrebbe amata, rispettata, coccolata. Sogni. Che fine hanno fatto oggi quei sogni? Dove sono andati? Cosa sono diventati?
Ci credevo sai, ci credevo davvero. E ho creduto anche a quello che mi ha detto “vieni con me, ci penso io”. Chissà cosa pensavo, chissà cosa ho immaginato. A pensarci oggi, non riesco a ricordare. Non ricordo cosa ho visto in lui, cosa ho visto nelle sue parole. Gli ho creduto quando mi raccontava di un posto dove tutto sarebbe stato più facile, dove avrei potuto costruirmi quella vita che sognavo e dove non importava da dove venivi. Lavorare era facile, diceva, e i soldi arrivano veloci. “Vieni, vedrai”. E io sono andata.
E adesso? Cosa ne è stato di quelle promesse? Di quelle parole? Come ho fatto a diventare quella che sono oggi, e come ho fatto ad arrivare qua, adesso?
Non lo so, o forse non voglio saperlo. Perché fa male pensare ai miei sedici anni perduti, ai miei sogni inutili schiantatisi senza quasi far rumore. Alle botte, alla violenza, agli insulti e alle minacce. Perché lavorare è facile, i soldi arrivano, ma a che prezzo? Io lo conosco, quel prezzo, lo conoscono i miei sedici anni che oggi non ci sono più, annientati, trasformati in macerie sterili, tanto inutili da non meritare neanche un’occhiata distratta. Cosa sono oggi? Un fantasma, una di quelle strane figure che si intravedono nel buio di una strada, donne non donne. Pezzi di carne da usare e gettare. Un buco nero nel quale entrare senza nemmeno chiedere “permesso?”. I miei sedici anni nemmeno sapevano che si poteva diventare così. Che esistevano posti come questo. Che un giorno mi sarei guardata allo specchio e avrei visto occhi da vecchia su un volto che non ha ancora nemmeno vent’anni.
Dillo, raccontalo a quelle sedicenni che ancora sognano. Che continuino a sognare. Che continuino ad ascoltare quei sogni ma senza prestare orecchio a chi dice che quei sogni li può trasformare in realtà. Dillo, racconta. E parla di me, della mia storia, di quello che sono diventata oggi. Pezzo di carne da macello, corpo a perdere dove affondare il coltello mille volte, mucchio di panni smessi da buttare sul ciglio di una strada, fagotto informe che non merita nemmeno una seconda occhiata.

Titolo in cronaca: Prostituta albanese massacrata a coltellate

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