mercoledì 28 aprile 2010

L'Augusto Imperatore


Questa è la storia piccola piccola di un bambino piccolo piccolo, che aveva però un nome importante. Si chiamava infatti Augusto Imperatore, e tutti lo prendevano in giro. "Chi sei? - dicevano i bimbi - un antico romano? E cavalli ed eserciti dove li hai messi"…. E giù risate.
Perché sapete, Augusto era davvero il nome di un antico imperatore, che è un po' come un re, dell'antica Roma, una città che tanti, tanti anni fa aveva addirittura conquistato il mondo. Augusto, il nostro bimbo, soffriva delle prese in giro, lui che era un po' timido e proprio non si sentiva importante…. Figuriamoci, gli sarebbe bastato avere un paio di amici per scorazzare nei campi a caccia di lucertole - per gioco però - e a raccoglier funghi e frutta. E magari, perché no, inventarsi una gran battaglia, e una gara tra guardie e ladri. Insomma, le solite cose che fanno tutti i bambini del mondo.
Lui però di amici non ne aveva, e quando provava a conoscere qualcuno, appena diceva il suo nome, quello scoppiava a ridere e Augusto, tutto rosso, scappava in ritirata e così finiva con ritrovarsi da solo.
Augusto però non era tipo da arrendersi, e pensa che ti ripensa, gli venne in mente un'idea: "se io mi trovo un altro nome - pensò - allora nessuno riderà, e magari avrò il tempo di fare amicizia". Augusto allora cominciò a cercare un nome, ma gli venivano in mente solo stupidaggini tipo "Lino Calzino", "Saro Rosso", "Lupo Solitario"…. Insomma, proprio non riusciva ad azzeccarci!
Ad un certo punto, mentre brontolava tra sé e sé, un bimbo gli si avvicinò. "Scusa - disse - ma che stai facendo? Parli da solo?"
Augusto, tutto preso dai suoi ragionamenti - intanto aveva pensato altri nomi stupidini tipo "Guido Mutanda" e "Remo Inquieto" - gli rispose distratto "Eh si, mi racconto storie…"
Il bimbo, stupito, gli afferrò una manica "Davvero - esclamò - dai racconta anche me, mi piacciono le storie". Augusto a quel punto pensò "adesso devo proprio…." E cominciò a raccontare…. "C'era una volta un bambino che si chiamava Augusto Imperatore….". Il bimbo lo ascoltò incantato, con gli occhi lucidi, e Augusto parlò delle prese in giro, della voglia di avere un amico, della ricerca di un nuovo nome… "Ecco, disse, questa è la storia".
"Ma è bellissima - disse a quel punto il bambino - sei davvero bravo! Ah, io mi chiamo Fortunato Cavallo, e tu?". Augusto non potè fare a meno di ridere. "Ma dai! Che nome è! Comunque, Augusto Imperatore sono proprio io". E giù tutti e due a ridere come dei matti. Quel giorno diventarono amici, e decisero di fondare un nuovo club - che è un po' come un gruppo di amici - quello dei "nomi strani"…. E Augusto Imperatore trovò un sacco di amici, e imparò anche che, in fondo, è proprio bello ridere insieme.

Licenza Creative Commons
Sogni di carta diBarbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.

Cappuccetto Viola

Due scoiattoli, un cerbiatto e tre passerotti spalancarono gli occhi increduli: una scena così, nel bosco, non si era mai vista! Il lupo, grande, forte e cattivo, correva disperato, la lingua a penzoloni e gli occhi spiritati. Urlando "AIUTOOOOOOOOO" a tutto spiano!
E balzellon balzelloni, dietro di lui, arrivava Cappuccetto Viola, bimba assai carina ma un po' stranina! "Lupo lupettooooo…. Dai non scappare, vieni qui che ti do un bacetto…." Il lupo cattivo non sapeva più come fare! Quella bimba, che viveva con la nonna in una casetta spersa in mezzo il bosco e che ogni giorno si inventava qualche nuovo scherzo, adesso voleva sbaciucchiarlo: "No, no, no - urlava il lupo - non scherziamo dai, io sono un lupo cattivo, non un peluchetto da stropicciare!"
Ma Cappuccetto Viola proprio non ne voleva sapere, e senza dar segno di stanchezza continuava l'inseguimento. A un certo punto il lupo, ormai senza fiato e con la lingua che gli arrivava quasi alle ginocchia, inciampò. Un capitombolo senza fine!!! Cappuccetto Viola, in un baleno, gli fu addosso, decisa a prendersi quel bacetto che sognava….
Per fortuna - del lupo - in quell'istante arrivò come una furia la nonna, che forse avvertita dagli animali del bosco era uscita in un lampo, senza neanche cambiarsi! La nonna, in camicia da notte e cuffietta sulla testa, afferrò Cappuccetto Viola per la collottola. "Ehi, che diavolo stai combinando?". Cappuccetto Viola brontolò un "ma dai nonna, solo un bacetto…" ma, con la nonna che la teneva stretta stretta quasi non riusciva a parlare. Il lupo, nel frattempo, si guardava attorno frenetico, come a cercar via di scampo. "Lupaccio puzzolente che non sei altro - disse la nonna - che aspetti ad andartene? E cerca di non farti più vedere, che proprio non abbiamo bisogno di un lupaccio antipatico e sporco come te!". Il lupo non se lo fece ripetere due volte e, tra le risate degli animaletti del bosco che erano arrivati a frotte per guardarsi lo spettacolo, si infilò in un cespuglio e scappò lontano.
Cappuccetto Viola, nel frattempo, cercava una scusa per la nonna…. "Allora, birbantella, mi spieghi che stavi facendo?"…
"Ehhhh nonna - bofonchiò la ragazzina - ma dai, mi sembrava così carino…."
"Il lupo? Ma sei pazza? No, mi sa di no - disse la nonna, con un improvviso sospetto - vieni qui un attimo…. Ma che hai fatto!"
"Ma dai nonna - cercò di spiegare Cappuccetto Viola - niente, giuro…." Ma a poco a poco la storia venne fuori: quella birbante di Cappuccetto aveva…. Bevuto vino!!!! Con un amichetto era andata al bar, e i due monelli avevano assaggiato un bicchier di vino con il risultato che Cappuccetto si era ubriacata!!!! Ecco spiegato l'improvviso amore per un lupo sporco e puzzolente! Per fortuna la nonna sapeva cosa fare, trascinò Cappuccetto Viola a casa, le fece un bel bagno e le diede un bicchierone di camomilla prima di cacciarla a nanna. La mattina dopo, Cappuccetto si svegliò con un gran mal di testa e la vergogna per quell'inseguimento che aveva fatto ridere tutto il bosco: "ahi ahi - si disse la bambina - mi sa che per assaggiare di nuovo il vino sarà meglio aspettare di esser grande!". E per fortuna, la nonna aveva preparato un gran bicchiere di succo di frutta: "così almeno - disse ridendo la nonna - non andrai a cercar di baciare lupi in giro per il bosco!"

Licenza Creative Commons
Sogni di carta diBarbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.

martedì 27 aprile 2010

Paura nel bosco

Giocchino era disperato. Quel che era successo era gravissimo e senza nessuna spiegazione: la sua radura, il suo posto preferito nel bosco – si, quello dove crescevano i funghi migliori, i fiori più belli e le bacche più succulente – si stava seccando. Prima l’erba si era ingiallita piano piano, poi i fiori si erano seccati e i cespugli raggrinziti, e adesso anche gli alberi che circondavano quel posto speciale sembravo piegarsi sotto il peso dell’età e invece dei verdi brillanti, del marron lucido e delle sfumature senza nome che fanno del bosco uno dei posti più belli del mondo, si vedeva solo una specie di grigio, una patina fumosa che avvolgeva tutto.
“Ma cosa sta succedendo – si chiedeva triste e preoccupato Giocchino – non è possibile, fino a pochi giorni fa andava tutto bene, già si sentiva nell’aria il profumo di primavera…”
Giocchino si guardava attorno disperato, davvero non sapeva cosa fare. Lui quel posto lo conosceva bene. Nonno Carlone – proprio quel nonno che viveva in una casetta ai margini del bosco e che ne conosceva ogni segreto ed ogni storia – l’aveva portato lì fin da quando era un bimbo piccolissimo e ancora traballante sulle gambette. E dopo tanti anni, mai aveva visto una cosa così. “Ah, se ci fosse nonno Carlone – pensava Giocchino – lui saprebbe cosa sta succedendo, e saprebbe anche cosa fare…”
Ma il nonno se ne era andato per qualche giorno, aveva da fare in città, “e mi sa che non torna in tempo…” rimuginava Giocchino. Che continuò a guardarsi attorno, come per cercare una spiegazione a tutto quel disastro che si stava consumando attorno a lui. E mentre guardava, si spostava anche piano piano, attento a tutte le tracce, ai segnali strani che, come gli aveva insegnato nonno Carlone, avrebbero potuto fornirgli indizi preziosi per capire.
Giocchino scoprì ad un certo punto una cosa stranissima. In tutto quel grigiore e quel seccume c’era una striscia verdolina. Non il verde solito del bosco, ma una striscetta pallida pallida, sottile come un capello. Che si snodava però lungo tutta la radura e poi sembrava imboccare decisa verso il bosco. Senza neanche pensarci Giocchino decise di seguire quella striscia verdolina, chissà mai che l’avrebbe portato ad una qualche spiegazione, o magari ad un indizio utile… e Giocchino cominciò a camminare piano piano, attento a non perdere quella sottile traccia. Finì così con l’inoltrarsi sempre più in profondità nel bosco, in una zona dove non era mai stato prima. E cammina cammina, immaginate la sua sorpresa quando all’improvviso la striscia verdolina si interruppe! Alzando gli occhi, vide di esser finito in una radura immensa, una grande spianata ricolma di cespugli, felci, fiori e alberelli. E al centro, una cosa stranissima: un cerchio grandissimo di erba verdissima e profumata, corollata di rose e violette in mezzo alle quali si intravedeva una specie di pinnacolo…
Giocchino, che lo sapete no?, non aveva mai paura di nulla men che meno quando era in un bosco, si avvicinò cauto. E scoprì che il pinnacolo era in realtà un enorme cappello in equilibrio su un testone… di cosa? Boh! Giocchino non aveva mai visto una cosa così!
Il testone sembrava appartenere ad una specie di gigante infilato fino al collo nel terreno umido del bosco. Aveva due enormi occhi a palla, un cespuglio di capelli che ricadevano fin sulla fronte e le orecchie che parevano padelle… Giocchino si avvicinò a bocca aperta, attento a non calpestare nulla che potesse far danni, e quando fu abbastanza vicino si schiarì la gola… tanto per far sapere a quel coso che era lì… “ehm ehm… scusi…”
Il coso spalancò gli occhioni, e Giocchino vide che erano del verde più verde che il bosco potesse avere, ma erano anche pieni di lacrime…
“Ehi, ma tu chi o cosa sei?” chiese Giocchino, che come sempre non perdeva tempo…
Il coso strabuzzò gli occhi, anche a lui non doveva esser capitato tanto spesso di veder un bimbo umano. “Come chi o cosa sono? Io sono un groll” rispose con una voce tonante ma stranamente un po’ incrinata, proprio come se stesse piangendo.
“Un groll? E cosa sarebbe?” disse uno stupitissimo Giocchino, che proprio quella parola non l’aveva mai sentita
“I groll sono… sono… ecco, come faccio a spiegartelo… i groll sono il bosco, le piante, l’erba, i fiori… siamo l’anima della terra, il cuore delle foreste, lo spirito che alimenta la vita verde…”
Giocchino sgranò gli occhi. Nonno Carlone, che pure sapeva tante cose e alcune anche parecchio strane, non gli aveva mai detto una cosa del genere. Ma davvero i boschi hanno un’anima? “Ma dai, mi stai prendendo in giro…” brontolò il bimbo.
“E tu pensi che io ne abbia voglia? Avrei così tanto da fare – sospirò il groll – che certo non ho tempo e voglia di prenderti in giro…” e tirò su con il nasone, una gran strombazzata che fece tremare l’erba attorno a lui e risuonare il bosco.
“Ma tu stai piangendo – disse Giocchino – si vede che sei triste… ma perché?”
Il groll sembrò pensarci un attimo, poi prese una decisione e rispose. “Non so se devo dirtelo, e non so nemmeno se faccio bene a parlare con te – disse con il suo vocione – non credo sia una gran bella cosa che gli umani sappiano di noi e della nostra esistenza… ma tant’è, non so come hai fatto, ma sei arrivato fino a qui, magari è così che le cose devono andare… vedi, si, sto piangendo. Qualche giorno fa è successa una cosa incredibile…”
E il groll raccontò: nella sua radura non veniva mai nessuno, nascosta com’era nel più fitto del bosco e protetta da una serie di magici incantesimi che la rendevano invisibile anche a quegli incauti che passavano lì vicino. Ma qualche giorno prima, una folata improvvisa di vento aveva spinto contro i grandi occhi del groll un grosso ramo strappato da un castagno ormai vecchio e secco. Il ramo, neanche a farlo apposta, aveva colpito l’occhio del groll, un colpo secco e violento che per un lungo istante l’aveva accecato. E il groll, dolorante e sorpreso, si era distratto. Un attimo solo, ma era bastato. Perché proprio in quel momento un cacciatore che stava cercando lepri lì nei dintorni aveva esploso un colpo di fucile. E quell’attimo di distrazione aveva abbassato la potenza degli incantesimi che proteggono il groll e la sua radura. Così, un proiettile aveva imboccato una direzione imprevista e senza che il groll potesse far nulla si era infilato in uno dei suoi enormi orecchi.
“E così – sospirò disperato il groll – adesso ho dentro di me una di quelle cose velenose che voi umani sapete fare così bene. L’orecchio mi brucia e mi fischia, e io non riesco più a star dietro a tutto il mio regno…”
Giocchino spalancò gli occhi. Vuoi vedere, pensò, che è questa la spiegazione? Un po’ titubante, ma deciso a cercare una soluzione, chiese al groll se poteva aiutarlo. Gli avrebbe permesso di dar un’occhiata all’orecchio ferito?
Il groll all’inizio non sembrava fidarsi tanto, ma poi pensò “che male mi può fare, così piccolo e deboluccio?” e acconsentì.
Giocchino allora, cautamente, si avvicinò all’enorme orecchio. Tirò fuori dallo zaino che aveva sempre con lui una torcia, ed un coltellino – che gli aveva regalato nonno Carlone e gli era stato utile in tante occasioni!
E aguzzando la vista lo vide, il proiettile c’era, proprio infilato in quell’enorme orecchio… allora, pensando a tutto quello che il nonno gli aveva insegnato su come fare a togliere gli ami dai pesci, o su come medicare le ferite, usò il coltellino con delicatezza, fino a quando non riuscì a spostare il proiettile. Poi, con due dita, tirò delicatamente e lo estrasse. E per finire l’opera, aprì lo zaino dove teneva bende e cerotti e medicò la ferita. Il groll, che aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo, tirò un enorme sospiro, e poi sbottò “ehi! Ma non mi fa più male, ma come hai fatto?”
Giocchino ridendo glielo spiegò, e gli fece anche vedere quel pezzetto di piombo che tanti danni aveva causato. Il groll, finalmente felice, lo ringraziò, e gli fece una promessa: “questo bosco, tutto questo bosco, sarà sempre casa tua. Qua sarai sempre il benvenuto, e sarai sempre protetto e aiutato in ogni occasione! Chiedi, e otterrai!”
Giocchino ci pensò un po’ su, ma c’era solo una cosa che in quel momento voleva: tornare a vedere la sua radura verde e viva come era sempre stata.
“E così sarà!” disse il groll, che dopo un ultimo saluto tornò a chiudere gli occhi, di nuovo concentrato sullo spirito vitale del bosco. Giocchino allora riprese la strada di casa, e quasi gli sembrava che ogni albero, ogni cespuglio, ogni fiore ed ogni filo d’erba si inchinasse festoso al suo passaggio. E quando arrivò alla sua radura, incredibile ma tutto era tornato a posto! Giocchino, felice, si avviò verso casa, pensando che questa volta era lui, ad avere una storia fantastica da raccontare a nonno Carlone!

Licenza Creative Commons
Sogni di carta diBarbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.

lunedì 26 aprile 2010

La mora orso

Eravamo ormai quasi alla fine dell'estate, stagione perfetta per una delle cose che più di tutte piacevano a Giocchino e a nonno Carlone: girar per boschi alla ricerca di dolci, succose e deliziose more.
Quel giorno nonno Carlone si era proprio svegliato con una gran voglia di more, che lui non lo diceva, ma era un nonno assai goloso, soprattutto delle prelibatezze del bosco, e quando la mamma di Giocchino, la signora Giuditta, preparava la sua famosa marmellata di more che serviva per le ancora più famose crostate di more, nonno Carlone guarda caso finiva sempre per essere il primo ad assaggiare…
Comunque, dicevamo che quel giorno nonno Carlone aveva intenzione di visitare il suo posto segreto delle more, una radura nascosta nel fitto del bosco dove crescevano un sacco di rovi, che sono i cespugli che danno appunto le more. E così, ovviamente andò a cercare il suo nipotino. "Giocchino - gli disse - hai voglia di fare una bella passeggiata, e una bella scorpacciata di more?"
Inutile dire quel che gli rispose Giocchino! Tempo cinque minuti e i due, armati di stivaloni, bastoni e cestini, erano pronti per l'avventura.
La passeggiata, come sempre, vide nonno e nipote chiaccherare fitto fitto, raccontarsi mille storie e mille storielle, senza mai dimenticarsi però di guardarsi ben bene attorno perché, lo sapete, il bosco è davvero un posto un po' magico. Alberi fruscianti, fiori e cespugli odorosi, animaletti timidi che sbirciavano incuriositi quei due… nonno Carlone e Giocchino videro così tre scoiattoli arrampicarsi veloci veloci su un grande castagno, dove i ricci cominciavano appena appena a formarsi, e un coniglietto dal musetto buffo che cercava di sgranocchiare una ghianda e scappò via lesto per nascondersi dietro un tronco…
E poi ancora, in lontanaza si sentivano i fruscii dei cervi, il canto dei merli e gli strilli delle acquile… insomma, di cose da vedere ed ascoltare, nel bosco, ce ne erano davvero tante, e nonno e nipote lo sapevano bene, per questo amavano così tanto quelle passeggiate!
Alla fine, dopo una lunga camminata su per sentieri nascosti, arrivarono al posto segreto di nonno Carlone. Che, più che mai soddisfatto, si accorse che i rovi avevano fatto il loro dovere, e che la stagione era davvero quella giusta! Tutto attorno a loro, infatti, c'erano more perfette, nere, lucide e profumate. I due cominciarono a raccoglierle, nonno Carlone riempiendo in fretta il cestino, Giocchino un po' meno… il bimbo infatti metteva si una mora nel cestino, ma altre cinque se le infilava in bocca!
Per fortuna, le more erano così tante che davvero non era un problema! Nonno Carlone, ad un certo punto, scoppiò a ridere: si era accorto che nella foga di divorar more, Giocchino aveva finito con il colorarsi di nero-viola tutta la bocca e anche il mento… "Ma guardati - disse ridendo Carlone - mi sembri quasi un orso Panda! E adesso, come lo spieghiamo alla mamma!"
"Ma dai - rispose Giocchino, anche lui ridendo - che anche la mamma ama le more! Me lo hai raccontato tu, che quando veniva con te erano più quelle che si mangiava che quelle che portava a casa!"
"Proprio vero - disse il nonno - ma mi sa che è meglio che non ti racconto più le cose che faceva la tua mamma, o finisce che ogni volta mi prendi in giro…" Nonno Carlone si interruppe all'improvviso spalancando gli occhi: mentre parlava, infatti, si era girato ed aveva visto una cosa incredibile. Una mora enorme, perfetta, nera e lucida che spiccava nel verde del cespuglio… il sogno di ogni cercator di more! E senza pensarci un istante, allungò la mano per acchiapparla.
Suossshhhh… Grrrrrrr…. Ahioooooo…. Accipicchia! Non era una mora! Nonno Carlone se ne accorse subito, ma ormai aveva stretto e tirato una cosa molliccia e calda…. E un istante dopo scoprì cos'era: il nasone di un orso gigantesco che stava facendo un riposino nascosto dietro i rovi!
"Ohi - disse nonno Carlone a Giocchino, che era rimasto senza parole per la paura - e adesso?"…
L'orso, arrabbiatissimo, guardò i due e strillò con voce roboante: "Ehi! Come hai osato! Mi hai fatto un gran male! Adesso vedi che ti faccio!"
"Signor Orso, per carità, è stato un incidente - disse nonno Carlone - davvero non volevo farle del male! Cosa posso fare per lei? Mi perdoni, la prego!"
L'orso, con gli occhi che lanciavano fiamme, sembrava davvero arrabbiatissimo e Giocchino, che sapeva che in certi casi meglio non perder tempo e mettersi gambe in spalla per trovar rifugio il più in fretta possibile, era quasi pronto a scappar via trascinando con sé nonno Carlone. All'improvviso però l'orso vide il cestino ricolmo di more di nonno Carlone… "Ah, tutte quelle hai raccolto - disse - allora sai cosa facciamo? Me le dai, così mi risparmi la fatica di coglierle e il rischio di pungermi con i rovi, e in cambio io ti lascio andare…"
Nonno Carlone non ci pensò due volte, e gli diede il cestino che l'orso svuotò in un istante… "buone - disse poi - e adesso, andate via, e fatemi il piacere, vedete di non farvi più vedere… il naso mi fa ancora male!"
Nonno Carlone afferrò Giocchino per un braccio e fece un rapido dietro-front… i due rifecero la strada di corsa, quasi senza parlare tanta era stata la paura presa. Finalmente, con il fiatone e i cestini vuoti, arrivarono a casa.
"Già qui? - chiese mamma Giuditta - Allora, avete trovato le more?"
I due, ancora con il fiatone, scossero la testa desolati. "Ma come? Eppure, vedo le tracce sulla tua bocca Giocchino" rise la mamma, che però poi si accorse che qualcosa non andava… Nonno e nipote, alla fine, raccontarono l'avventura, e, visto che tutto era andato bene - a parte le more perse, ovvio! - scoppiarono tutti a ridere! Quel giorno, niente crostata di more, anche se per fortuna la mamma aveva preparato uno splendido budino di cioccolata, ma quante prese in giro per nonno Carlone, che non sapeva distinguere una mora da un nasone!

Licenza Creative Commons
Sogni di carta di Barbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

Lo scoiattolo Pallino

Era una pigra giornata estiva, con tanto sole e un bel venticello che rinfrescava la pelle… beh, si, come tutte però! Perché ve lo ricordate, no?, che nel "Paese delle Rose" è sempre estate ma non fa mai tanto caldo da scoppiare…. Insomma, va bene, una bella e tranquilla giornata come tutte quelle che si sono succedute nel magico Paese delle Rose. Però una cosa diversa, a dire la verità, c'era in quel giorno particolare di cui vi voglio parlare: sulla cima di un albero, in un buco del tronco tutto foderato di foglie tenere e fiori profumati, era nato uno scoiattolino.
Niente di strano, direte ancora. Si, però quello scoiattolino era davvero speciale, anche per un posto e un tempo dove la magia esisteva per davvero e dove tutti gli animali sapevano parlare e facevano cose meravigliose. Quello scoiattolino, che mamma e papà - con ben poca fantasia - chiamarono Pallino, era nato con il pelo…. tutto a pallini. Ma non pallini neri o rossi, come avrebbe anche potuto essere non dico normale ma comunque non poi tanto strano. No. Pallini di tutti i colori! C'erano il rosso, il nero e il bianco, ma anche verde, blu, giallo, viola…. Sembrava che tutti i coloratissimi e profumati colori del "Paese delle Rose" si fossero dati appuntamento sul pelo del piccolo scoiattolo. Mamma e papà si guardavano stupiti: "com'è possibile" pensavano "e cosa diranno i nostri amici?".
E così per qualche giorno non dissero a nessuno che era nato il piccolino, pensando di tenerlo nascosto per vedere se, crescendo, il pelo tornava normale. Solo che Pallino cresceva si, ma i colori invece di diminuire aumentavano, e mamma e papà, sempre più imbarazzati e anche un po' spaventati, proprio non sapevano cosa pensare.
Un bel giorno, quando ormai Pallino era diventato uno scoiattolino capace di saltare da un ramo all'altro, il cucciolo, curioso come tutti i piccoli, decise di vedere com'era quel mondo che si intravvedeva ai piedi del grande albero. "Mamma e papà non mi fanno mai uscire - pensò - ma io non ne posso più di stare sempre quassù. Chissà quante cose meravigliose mi sto perdendo". Pallino aspettò allora che mamma e papà si allontanassero, che era ora di andare a raccogliere un po' di cibo - noci, frutta e fiori deliziosi da sgranocchiare alla fine del pasto - e quando fu sicuro di essere solo mise il musetto fuori dalla tana… "Oplà - si disse ad alta voce - adesso è il mio turno"
E veloce come sanno essere gli scoiattoli, scese lungo il tronco fino ad arrivare sul terreno. Qui ebbe la prima sorpresa: niente rami e foglie, solo un vero mare d'erba, morbida e profumata, e un'infinità di fiori di tutti i colori. Che spettacolo! Pallino spalancò gli occhi e rimase a guardare, affascinato, tutto quello che lo circondava.
Non lontano dal suo albero vide un gruppetto di fatine che svolazzavano, ridendo felici, da un fiore all'altro. Dall'altra parte due tartarughe si inseguivano e si chiamavano mentre un folletto, con un gran cappello verde, si teneva la pancia dal gran ridere. Due cervi in amore si strusciavano e si dicevano paroline dolci, e un passerotto un po' cicciotto - forse era proprio Ciccio, ve lo ricordare - giocava con una fatina bionda….. insomma, tutto attorno a lui il "Paese delle Rose" viveva un'altra meravigliosa giornata di gioia e allegria.
All'improvviso però Pallino vide una strana cosa, strana anche per lui che non aveva mai visto il mondo ma ne aveva sentito parlare da mamma e papà. In alto, nel cielo azzurro, arrivò una strana, grande ombra. Tutta nera, con lampi rossi che la attraversavano, in pochi minuti coprì tutto il bosco dove si trovava Pallino. Che, senza nemmeno sapere perché, sentì un'improvvisa paura. Lo scoiattolo iniziò a tremare, e con lui tutti gli animali e tutte le creature fatate che fino a quel momento avevano giocato felici, sentirono improvvisamente che era arrivato un pericolo.
Pallino guardò in alto, e proprio mentre alzava gli occhi, sul bosco rimbombò una gran voce. "Sono tornato - tuonò la voce, che non era nessun'altro se non il cattivo mago Zazum - e questa volta non riuscirete a scacciarmi. Io sarò il vostro re, o coprirò per sempre il sole e tutti i boschi, gli alberi e i fiori moriranno".
Pallino, che non aveva mai sentito parlare di Zazum - ma voi vi ricordate di lui, vero? - non capì bene che cosa voleva, ma sentì che non era una bella cosa, e che non poteva restarsene a guardare. "Coprire il sole - pensò - far morire boschi, alberi e fiori… ma cosa mai vorrà quell'ombra nera? Non è proprio una bella cosa, questa!". Pallino allora si guardò in giro. In un angolino del bosco vide una cosa che lo incuriosì… un raggio di sole che era riuscito a sfuggire all'ombra di Zazum. Pallino, senza nemmeno sapere perché - che lui non lo sapeva, ma anche lui era un animaletto magico - corse in quella direzione e quando arrivò proprio sotto il raggio successe una cosa incredibile. Tutti i pallini colorati del suo pelo improvvisamente sembrarono prendere vita. Il raggio si moltiplicò e si trasformò in un grande, coloratissimo arcobaleno che, in un attimo, si scagliò contro la nuvola nera di Zazum. E tutti i colori luminosi del mondo sciolsero quel brutto nero… si sentì un urlo "Nooooooo, non è possibile! Ancora!", e poi la nube, e con essa Zazum, sparì nel nulla.
Animali, folletti, gnomi e fate guardarono a occhi spalancati quel piccolo scoiattolino che, senza nemmeno saperlo, aveva salvato il loro mondo, poi esplosero in urla di gioia e festeggiarono Pallino che, un po' frastornato, si ritrovò trasformato in eroe. E da quel giorno, mamma e papà non lo tennero certo più chiuso nella tana, tutti volevano conoscerlo, e tutti gli volevano bene. Tutti, ovvio, tranne il cattivo mago Zazum, ancora una volta sconfitto da un animaletto piccolo piccolo!

Licenza Creative Commons
Sogni di carta di Barbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

lunedì 19 aprile 2010

Gippo e Trina

"Uffa, non funziona. E adesso come faccio!". Gippo era sconsolato. Aveva lavorato tutto il giorno per costruire un bellissimo aquilone. L'aveva promesso alla sorellina Trina, ma, forse per inesperienza o forse perché Gippo - che mi son dimenticata di spiegarlo, era un topolino un po' pasticcione - proprio di aquiloni non sapeva niente, adesso quel tanto sospirato giocattolo se ne stava immobile, sdraiato su un fianco, e di volare in alto nel cielo non ne voleva sapere. Gippo guardava triste il suo capolavoro: aveva tagliato e incollato tante strisce colorate fino a formare l'enorme immagine di un…. topo, tutto colorato e con i denti aguzzi bene in vista, che nei suoi sogni, e in quelli di Trina, avrebbe dovuto volare alto alto e spaventare tutti i gatti del mondo. Perché Trina, che era più piccola di Gippo, aveva un sacco di paura dei gatti, e non ne voleva sapere di andare per boschi e prati a inventare i mille giochi dei topolini. "E se arrivano i gatti" diceva tutta tremante…
Gippo allora aveva fatto la sua promessa: "costruiremo un topo-aquilone gigantesco che, dall'alto, ci proteggerò. Vedrai - le aveva detto - nessun gatto avrà il coraggio di mettere il suo sporco muso fuori dalla tana". E Gippo si era messo al lavoro. Taglia, incolla e colora, alla fine ecco l'aquilone…. ma al momento della prova, invece di volare alto era caduto per terra, e da lì non sembrava avere proprio nessuna intenzione di spostarsi. Gippo le aveva provate tutte: si era messo a correre tanto veloce quanto sanno fare i topolini, aveva soffiato con tutto il fiato che aveva, si era arrampicato sull'albero più alto del bosco…. Niente da fare, nulla aveva funzionato!
Ormai stava arrivando la sera, e Trina gli avrebbe chiesto conto della sua promessa…. "e adesso come glielo spiego" disse ad alta voce un Gippo sempre più sconsolato…
"Spiegare che cosa?" chiese una voce
Gippo fece un salto… non si era accorto che c'era qualcuno. Si guardò attorno, ma non riuscì a capire chi avesse parlato… "Mi sarò sbagliato" pensò
"Ehi, ma tu non rispondi mai alle domande?" si fece risentire la voce
"Ma…. E chi è che fa domande?" disse Gippo, adesso davvero spaventato
"Guarda che non si risponde alle domande con un'altra domanda! Comunque, sono io, eccomi qua!" E da dietro un albero sbucò un folletto, uno dei quei piccoli esseri buffi e dispettosi che vivono nel "Paese delle Rose" e che ogni tanto si fanno vedere. "E tu chi saresti?" chiese Gippo, che di folletti non ne aveva mai visti. "Io mi chiamo Nick - rispose - e come vedi rispondo alle domande, tu invece no. Allora, cos'è che dovresti spiegare, e a chi?"
Gippo, tranquillizzato dal fatto che finalmente vedeva chi stava parlando, spiegò allora il suo problema a Nick. Il folletto, che come tutti i folletti era un vero esperto in fatto di aquiloni, si stropicciò un po' la barbetta a punta che aveva sul mento, si grattò il nasone tutto bitorzoluto e poi, dopo una gran capriola - che così fanno i folletti quando hanno un'idea - spiegò a Gippo la sua teoria: "guarda che gli aquiloni, per volare, hanno bisogno di un pizzico di magia, di una coda lunga, e di tanto vento…."
Gippo strabuzzò gli occhi… magia, vento… va bene, per quello non è che poteva fare molto, ma… la coda? "Accidenti! - esclamò - ecco cos'ho dimenticato!!!! Eppure, non solo gli aquiloni, ma anche i topi hanno la coda!".
Gippo allora si mise di nuovo al lavoro e in quattro e quattr'otto costruì una splendida coda per il suo topo aquilone. Poi guardò speranzoso Nick. "Ehi, tu che sei un folletto, non è che avresti un po' di magia…. Sai, questo sarebbe un regalo per la mia sorellina". Nick ci pensò su un attimo, poi estrasse una fiala dalla tasca: "Ecco, questa polverina farà volare il tuo aquilone. Attento però, se ne usi troppa, finirà che l'aquilone andrà così in alto che trascinerà via anche te!"
Gippo ringraziò il suo nuovo amico, e in cambio gli promise che l'avrebbe invitato a mangiare il formaggio speciale che la sua mamma faceva tutte le domeniche, poi felice corse dalla sorellina.
Trina, che era rimasta nella tana tutto il giorno, lo vide arrivare di corsa e quando vide l'enorme aquilone - che volava alle spalle di Gippo - schizzò fuori felice. "Ce l'hai fatta!" strillò!!! "Si - rispose Gippo - domani vedremo se funziona"
E il giorno dopo i due fratellini si svegliarono appena spuntò il sole, decisi a mettere alla prova l'aquilone. Che, ovviamente, volò subito alto alto. Trina, ancora un po' preoccupata, si guardava attorno decisa a non farsi sorprendere da nessun gatto. All'improvviso lanciò un urlo: "eccolo, guarda là". In fondo al prato, infatti, c'era un grosso gatto rosso che aveva notato i due topolini e si leccava i baffi pregustando il bocconcino delizioso. Gippo non se lo fece ripetere. Tirò la fune e l'aquilone fece una splendida giravolta. Sembrava quasi un falco in picchiata sul gatto. E il gattone, quando vide quell'immenso topo zannuto, gonfiò tutto il pelo, spaventatissimo, poi si diede ad una fuga precipitosa. "Hai visto? - strillò Gippo - che ti avevo detto!!!!"
La scena si ripetè uguale ogni volta che un gatto si avvicinò troppo ai due topini, che da quel giorno non ebbero più paura. E Trina, protetta dal suo aquilone, diventò la topolina più coraggiosa del bosco, impegnata ogni giorno in giochi e avventure che le servirono a diventare grande.
E Gippo, che ormai aveva capito come si faceva un aquilone, ne costruì tanti altri, da regalare a tutti i suoi amici. Alla fine, invece che il "Paese delle Rose", quel posto magico sembrava diventato il "Paese degli Aquiloni"! E Nick? Beh, a Nick era piaciuto così tanto il formaggio di mamma topolina che da quel giorno aveva deciso di diventare il miglior amico di Gippo e Trina. Furbo come tutti i folletti, così si faceva invitare tutte le domeniche!!!

Licenza Creative Commons
Sogni di carta di Barbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

lunedì 12 aprile 2010

La bambola Carolina

"Uffa, che noia. Ma è mai possibile che qua piove sempre….". Martina è arrabbiata, l'inverno è ormai arrivato e non si può più andare al parco. Fuori piove e fa freddo, e in casa c'è così poco spazio per giocare. "E ho pure finito i fogli per disegnare…. Accidenti, che faccio oggi" brontola la bambina. "Martina, ci risiamo - dice la mamma - hai un sacco di giochi, possibile che non ti viene in mente proprio niente?"
Martina si guarda in giro nella stanzetta. I giochi sono tutti nelle scatole, lei è una bimba davvero ordinata che tutte le volte che finisce di giocare, senza neanche aspettare che la mamma lo dica, mette ogni cosa al suo posto…. Martina lo sa che è proprio brutto avere tutto in giro, e poi si sa, in una casa così piccola, non ci si muoverebbe neanche!
Comunque, Martina guarda le scatole. Dentro ci sono bambole e macchinine, costruzioni e puzzle, vestiti e posate… insomma, tutto l'armamentario di una bambina che ha un sacco di giochi. Poi guarda meglio, strabuzza un po' gli occhi e salta in piedi…. "Mah, e quella…" pensa incuriosita. In un angolo, fuori da una grande scatola rossa, c'è una piccola bambolina, i capelli biondi fini e lunghi, gli occhi grandi azzurri, un vestitino rosa pieno di pizzi. "E quella da dove arriva - pensa ancora Martina - non è mia…. E poi, come mai è fuori dalle scatole?"
Martina si avvicina per guardare meglio, si china e prende in mano la bambolina…. Poi la lascia cadere improvvisamente! "Accidenti - esclama - ma si è mossa!". La bambolina lascia uscire dalla boccuccia una risatina divertita.
"Ma, ma, ma…." Dice incredula Martina; poi si guarda attorno per vedere se per caso c'è la mamma, che magari le direbbe "ma dai, ti sei sbagliata". La mamma però è indaffarata in cucina, e Martina torna a guardare la bambolina. Che, incredibile! si è alzata in piedi e con le manine si sta pulendo il vestitino. "Ma insomma - esclama la bambolina un po' stizzita - ma ti sembra il modo di trattare le persone?"
"Persone? - chiede sbalordita Martina - ma tu chi, o cosa, sei?".
"Come cosa - risponde quella - ma non mi vedi? Hai giocato con me per così tanto tempo, e adesso nemmeno mi riconosci? Si è vero, da un po' di tempo mi avevi messo da parte, ero in fondo ad una scatola, ma li si soffocava. Faceva caldo e tutti quei giochi addosso…. Uffa, non era bello. E poi mi mancavi tu".
"Ma com'è possibile - dice Martina, sempre più stupita - le bambole non parlano e non si muovono". "E che ne so io - risponde la bambolina - forse semplicemente ti piacevo così tanto che mi hai dato un po' della tua magia"
"La mia magia? Ma io non ho magia!"
"Come no? Tutti i bimbi sono magici, non lo sai? Inventano un sacco di storie, e tanti giochi meravigliosi, e sanno fare un mondo di cose. Se non è magia questa!"
"Davvero? Non ci avevo mai pensato. Ma tu, come ti chiami?"
"Uffa, ancora non ti ricordi? Tu mi avevi dato un nome che a me piaceva moltissimo, e così me lo sono tenuto. Io sono Carolina".
"Carolina! E' vero! Adesso mi ricordo!"
"Era ora! Allora, e adesso che facciamo?"
"Mah, non so, io mi stavo annoiando. Sai fuori piove e non posso andare al parco. La mia casa poi è così piccola che non posso neanche invitare qualche amichetto…."
"Va beh dai, tanto ci sono io… in fondo, io sono piccola, e anche una casa piccola mi va bene, non credi?"
Martina ci pensò un po' su, poi sorrise: "ma certo! Allora dai, giochiamo?"
Detto e fatto, le due si inventarono un gran numero di giochi, e si divertirono un mondo - anche se Martina un po' si arrabbiò quando giocarono a nascondino perché Carolina, così piccola, poteva nascondersi in buchetti che lei nemmeno vedeva! - tanto che, senza nemmeno accorgersene, arrivò l'ora della cena.
"Martina, lavati le mani e vieni a tavola" disse la mamma.
Martina, stupita, si accorse che era ormai finito quel pomeriggio che le era sembrato così noioso e lungo. "Beh, adesso io vado a mangiare - disse a Carolina - ma tu non nasconderti, mi raccomando"
"Certo che no - rispose la bambolina - a patto che non mi infili mai più in quella scatola stretta e calda!"
E da quel giorno Carolina, che restò sempre una bambolina magica, ebbe un posto d'onore, sul cuscino di Martina, che non dimenticava mai di salutarla e di giocare un po' con lei anche quando fuori c'era il sole e poteva andare al parco.

Licenza Creative Commons
Sogni di carta di Barbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

Storia di Elena

Sempre "Donne a perdere"

Certo che la vita è proprio strana. Assurda. Ti sorprende ad ogni passo. Pensi di essere arrivata, di aver vinto la battaglia. E poi ti ritrovi da capo. Con il culo per terra. In un modo che non avresti mai pensato, neanche nei momenti peggiori. Perché una cosa così davvero non me la sono immaginata mai. Si, forse è vero che non ho mai avuto una grande immaginazione, ma la tua vita, in fondo, la pensi su binari normali. La casa, il lavoro, la famiglia. Gli amici. E poi scopri che hai sbagliato tutto, che non hai capito niente. La fiducia, la fiducia è una bella cosa. Ti conosci da anni, lavori insieme, magari ti confidi anche. Che gli piacevo l’avevo in fondo anche capito, ma quando mi parlava della moglie, dei figli che lo rendevano uomo felice e soddisfatto, beh, pensavo fosse una semplice, banale e normalissima simpatia.
Solo che poi ho cominciato a vedere piccoli segnali. Si, lo so che forse avrei dovuto intervenire subito, che forse avrei dovuto fare qualcosa. Qualcosa. Ma cosa? Cosa fai se ti arrivano telefonate assurde? Dopo un po’ ho capito che era lui, ma ci ho messo del tempo, e poi, che male c’è a parlare?
Certo, quando l’ho visto nascosto nel giardino di casa, e quando ha iniziato a far domande insistenti sulla mia vita, su chi vedo, cosa faccio… No, non mi sono preoccupata, almeno non all’inizio. Però mi è sembrato quanto meno strano. Sembrava più un compagno geloso che non un collega di lavoro. E poi, poi quell’episodio strano… me lo sono trovato una sera sotto casa. “Dove sei stata, con chi”… Mi ha strattonata, mi ha spaventata. Ma te lo potevi immaginare che le cose fossero diverse? Che non fosse una banale infatuazione? Anche Anna, la mia amica, ci ha riso sopra. “Che ci fai tu agli uomini”…
Mamma si è un po’ preoccupata. “Mandalo via, dai. Ma come si permette?”. Però anche lei lo sapeva che licenziare un padre di famiglia, beh, non sarebbe stato un bel gesto.
Ho provato a parlare, a capire, lui si è scusato. “Non succederà più”. Però lo vedevo che mi guardava strano, e quell’ombra che ogni tanto vedevo in giardino, adesso lo so che era lui.
Per un po’ mi sono sentita perseguitata. Ma a chi dirlo? Erano tutte cose da poco. Sciocchezze. Me lo ha detto anche un amico carabiniere. “Se credi puoi anche denunciarlo, ma di elementi ce ne sono davvero pochini”.
Adesso però potrei. Adesso gli elementi ci sono. Solo che mi sa che non faccio in tempo. Strano vero? Non fa male, sento solo freddo. E vedo la macchia rossa che si allarga sotto di me e si porta via questa vita strana… Ce l’avevo fatta, pensavo di avercela fatta. La ditta ha ingranato bene. E avevo trovato l’amore della mia vita. L’ho detto a lui, me l’ha chiesto e gliel’ho detto. E lui ha afferrato quel coltello. Strana la vita. Chi mai avrebbe detto che avrebbe fatto questa cosa che non riesco neanche a dire… “non sarai mai mia, e allora non sarai di nessuno”… che frase assurda. Che morte assurda.

TITOLO IN CRONACA
IMPRENDITRICE DI SUCCESSO ACCOLTELLATA DA UN DIPENDENTE INNAMORATO

Licenza Creative Commons
Sogni di carta di Barbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

sabato 10 aprile 2010

Storia di Giacomina

Ancora "Donne a perdere"


No che non ti faccio entrare. Stattene fuori, non ci pensare nemmeno. Tanto non ci riesci, non mi convinci. E non ce la farai mai. Ho chiuso tutto. Porte, finestre, perfino il camino. Non sono stupida, non sono pazza. Lo so che vorresti entrare, ma io sono sveglia, e attenta, e forte. Ho visto come mi guardavi, ti ho notato, anche se pensavi che non fosse possibile. Quello sguardo. Me lo so sentito strisciare addosso. Dai capelli fino alla punta dei piedi. E ho capito. Ah si, ho capito tutto. Ma non te lo permetterò. Non posso permettertelo perché non voglio. Questa è casa mia. Questa è la mia vita. Lasciami stare. Stai lontano.
Stai fuori.
Che poi non ho mica capito perché hai scelto proprio me. Cosa ti ho fatto? Cosa ti ho detto?
Faccio la mia vita, lavoro, pulisco, faccio la spesa e cucino. E non sono neanche una gran bellezza. Lo so, sai, che credi. Mi guardo allo specchio.
I capelli che sembrano paglia. Queste gambe grosse che assomigliano a due tronchi vecchi. E gli occhi stanchi. Il naso poi. Non parliamo neanche del naso. Ho imparato a riderci sopra, ma ci sono giorni che mi sembra di avere un canotto in mezzo alla faccia.
Ma quel tuo sguardo… si l’ho capito. Te l’ho detto, non sono una stupida. Li leggo i giornali, la vedo la televisione. Lo so cosa vuol dire quel tuo sguardo e non te lo permetto. Lasciami in pace. Qua non ti voglio, non ti permetterò di entrare. Questa è casa mia, te lo ripeto. Questo è il mio regno, non mi ruberai il mio spazio, i miei segreti, la mia vita.
Che poi mi viene anche da ridere. Ma davvero pensi che sia così stupida? Che non sappia com’è il mondo fuori? La mamma me lo ha spiegato, me lo ha spiegato tante volte. E anche adesso. Si anche adesso. Non mi parla più ma lo vedo che mi dice di stare attenta, di non fidarmi. Di non farti entrare.
Che poi, se entri tu entra il mondo. E io non voglio. Mamma non vuole. Il mondo è sporco, il mondo è cattivo. Li leggo i giornali, la vedo la televisione.
Te l’ho già detto? Si, te l’ho già detto… sono stanca, scusa se mi ripeto. No, perché mi devo scusare? Sei tu che ti devi scusare. Sei tu che vuoi entrare nel mio piccolo regno. Sei tu che devi chiedere scusa, che devi sparire, che devi lasciarmi in pace.
Via, vai via. Lasciami stare. Non puoi entrare.
Nessuno può entrare. Lasciami in pace.

TITOLO IN CRONACA: Veglia il corpo della madre per settimane. Giovane con problemi psichici barricata in casa trovata in fin di vita da un vicino di casa

Licenza Creative Commons
Sogni di carta di Barbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

domenica 4 aprile 2010

Stella e il drago

Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, viveva una principessa di nome Stella. Era una giovane donna bella e brava, obbediente e molto amata dal papà re e dalla mamma regina. La famiglia reale viveva in un paese tranquillo, dove tutti stavano bene ed erano felici. Un brutto giorno però un grosso drago arrivò in quel paese. Sputacchiando fuoco e fiamme, incendiò case e stalle, bruciò i campi dove il grano stava maturando, spaventò uomini, donne, mucche, pecore e galline. La gente cominciò ad aver fame, le mucche non facevano più latte, le galline le uova, e campi e orti erano ormai bruciati. La gente corse così dal re per chiedere aiuto, e il re, preoccupato per quello che quel grosso e brutto drago stava facendo al suo popolo, decise di chiedere aiuto a tutti i cavalieri del regno. "Scacciate il drago - esclamò così - e chiunque ci riuscirà avrà in premio un baule di gioielli e in più la mano di mia figlia Stella".
Il re pensava così di invogliare i cavalieri, anche perché Stella, oltre che principessa, era davvero bella. Ma a Stella la decisione del papà proprio non piacque. "Ma come - pensò furibonda - dice sempre che io sono la sua preferita, che sono speciale, e adesso mi tratta come un pacchetto qualsiasi, un gioiellino da regalare senza troppo preoccuparsi…." Stella, arrabbiatissima, cominciò a pensare a come reagire. Nel frattempo, da tutto il paese arrivarono cavalieri decisi a sconfiggere il drago e a conquistare il premio. Solo che quel drago era davvero terribile. Con occhi di brace si guardava attorno e se appena appena si accorgeva che qualcuno intendeva attaccarlo, con uno gran sbuffo di fuoco lo bruciacchiava.
E così, uno dopo l'altro, tutti i cavalieri del regno finirono con l'armatura arrostita e l'orgoglio sotto i tacchi. Intanto, Stella, pensa che ti ripensa, aveva trovato quella che pensava potesse essere la soluzione. Quel drago le sembrava arrabbiatissimo, "forse perché si sente solo" aveva pensato. E facendo domande qua e là aveva scoperto che nel paese vicino viveva una draghessa, anche lei da sola ma con un carattere molto più amabile. "E se si incontrassero….?" Si chiese Stella. E così, indossata un'armatura che le nascondeva anche il volto e i lunghi capelli, Stella si presentò al papà. "Sire - disse, facendo il vocione da maschio - ci proverò io a scacciare quel drago". "Prode cavaliere misterioso - rispose il re, che non l'aveva riconosciuta - sei la nostra ultima speranza. Ti auguro buona fortuna".
Stella partì, ma invece di andare diretta alla tana del drago andò a cercare la draghessa, che la accolse un po' diffidente, ma disposta ad ascoltare. E quando Stella le spiegò che non lontano da lì c'era un drago solitario, la draghessa decise di seguirla. Le due arrivarono così alla tana del drago, e la draghessa, furba come tutte le draghesse, cominciò a fischiettare. Il drago, sempre arrabbiato, mise il muso fuori dalla tana e…. sbeng!!!!! Quando vide la draghessa si illuminò di colpo. Un vero colpo di fulmine! Il drago decise così di conquistare la splendida draghessa, e cominciò, come fanno tutti i draghi, a pavoneggiarsi tutto tronfio. La draghessa per un po' finse di non accorgersene, poi gli fece un occhiolino che quasi fece cadere il drago per la felicità. Poi, strusciandosi naso contro naso, gli sussurrò: "ma sai che sei proprio carino? Perché non vieni con me, la mia tana è grande e accogliente, e lì vicino non vive nessuno così nessuno ci darà fastidio…."
Il drago non se lo fece ripetere due volte e, spiegate le grandi ali, spiccò il volo fianco a fianco con la draghessa. Stella rimase a guardarli finchè non sparirono all'orizzonte, e a quel punto tornò a casa, dal papà re. "Sire, tutto fatto - disse sempre con il vocione - il drago se ne è andato e non tornerà mai più". "Prode cavaliere - rispose il re - vi saremo eternamente grati". E porse al cavaliere, che poi era Stella, il baule colmo di gioielli. Poi si guardò attorno stupito. "E mia figlia dove si è cacciata adesso? Da giorni non la vedo, ma lo sapeva che doveva restare qua".
A quel punto il cavaliere-Stella si tolse l'elmo. "Eccomi padre - esclamò, questa volta con la sua vera voce - e adesso voglio proprio vedere come mi costringerete a sposarmi da sola!!!!". Poi, sempre arrabbiatissima, Stella prese il baule e se ne andò nel paese della draghessa. "Qui almeno nessuno mi tratterà come un pacchetto" disse.
Dopo qualche tempo, Stella conobbe un bel giovane, si innamorò e se lo sposò. Poi tornò al castello dal papà re e dalla mamma regina che, pentiti e addolorati, la abbracciarono forte forte. Stella e il suo sposo rimasero allora al castello, ebbero tanti bimbi e a tutti raccontarono la storia della loro mamma che sconfisse un drago, ma senza armi e solo con l'amore.

Licenza Creative Commons
Sogni di carta di Barbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

venerdì 2 aprile 2010

Cicco Cicoria

La conoscete la storia di Cicco Cicoria? No? Davvero? Ma che strano. Quella di Cicco Cicoria è una storia davvero carina… beh, allora sapete che facciamo? Ve la racconto proprio adesso…
Dunque, dovete sapere che Cicco Cicoria non si chiamava proprio Cicco Cicoria. Mamma e papà lo avevano chiamato Francesco, ma lui, crescendo aveva scoperto una gran passione proprio per la cicoria, si, sapete, quell'insalatina tenera tenera che cresce nei campi… ecco, proprio quella! E allora, visto che appena poteva scappava a raccoglier cicoria, finirono tutti per chiamarlo Cicco Cicoria, e quel nomignolo, che in fondo gli piaceva pure, gli restò addosso. La storia in questione, però, è un'altra. Racconta di una volta che Cicco fece un incontro davvero strano…
Ecco, un giorno Cicco si accorse di avere una gran voglia di fragoline di bosco e come sempre, visto che era un bambino che aveva la fortuna di vivere in un paesino vicino ai boschi, non ci pensò due volte: salutò la mamma, infilò gli stivaloni, prese un cestino e partì di gran carriera alla ricerca di fragoline.
Solo che Cicco, che era un bimbo sveglio ed educato ma anche un gran distratto, non aveva pensato che ormai era quasi inverno, stagione che proprio con le fragoline di bosco non c'entra nulla!
E così il nostro eroe cominciò a cercar per boschi, fruga di qua, fruga di là… trovò un po' di funghi, questo si, ma di fragoline neanche l'ombra. E a un certo punto Cicco, che proprio aveva una gran voglia di quei dolcissimi tesori del bosco, finì con l'arrabbiarsi. E la rabbia di Cicco Cicoria era un vero spettacolo!
Sembrava gli uscisse fumo dalle orecchie, e saltava e strillava, e tirava gran calci in giro… a un certo punto tirò un gran calcione contro un cespuglio ma invece del solito rumore un po' foglioso si sentì "szuff… ahiooooo"… Cicco restò con la gamba a mezz'aria, gli occhi spalancati. E da dietro il cespuglio si affacciò un lupo!
Enorme, il pelo arruffato e gli occhi spiritati, il lupo strillò ringhiando "ehi! Che ti salta in mente? Mi hai fatto male!"
Cicco, che proprio non sapeva che i lupi parlano - ma a dire il vero, i lupi parlano solo in occasioni speciali, e solo con quei ragazzini che sanno ascoltare - restò senza parole: "oh - disse poi - mi spiace, non sapevo che c'eri tu. Ti prego, scusami tanto!"
"Scuse scuse - bofonchiò il lupo - non so che farmene delle tue scuse. Il sedere mi fa un gran male! Io me ne stavo qui tranquillo, non davo fastidio a nessuno, e guarda un po' te che mi va a capitare…"
"Davvero, scusa - rispose Cicco - ero solo arrabbiato perché ho voglia di fragoline, ma non ne trovo nemmeno una…"
"Fragoline? - rise il lupo - ma ti sembra che adesso, nel mese di novembre, si possano trovare?"
"E non mi ricordavo che siamo a novembre - disse Cicco, un po' imbarazzato - e poi, quando ti prendono le voglie, proprio ti prendono, no?"
"Eh si, questo è vero - rispose il lupo, che ormai si era rabbonito e cominciava a trovar simpatico quello strano ragazzino - sai che facciamo? Vieni con me"
E senza dare spiegazioni, il lupo - che si chiamava Grigio, dal colore del pelo che lo ricopriva tutto - afferrò un braccio di uno stupitissimo Cicco e lo trascinò nel fitto del bosco. Cammina cammina, Grigio imboccò una strada segreta, e arrivò ad una gran grotta. Cicco era un po' preoccupato, ma il lupo gli sembrava simpatico, e decise di fidarsi, tanto aveva sempre il suo bastone per difendersi in caso di pericolo, no?
E così, entrati nella grotta, Grigio lo accompagnò lungo corridoi nascosti ed ecco che, all'improvviso, sbucarono in una valle segreta. "Questo posto - disse Grigio - non lo conosce nessuno. E' il nostro segreto, il nostro rifugio, ed è una valle magica…"
Lì sotto, infatti, c'era un piccolo vulcano, di quelli tranquilli e gentili, che scaldava la terra e regalava a quella piccola valle una primavera perenne. Gli animali che vivevano nel bosco vi si rifugiavano quando fuori faceva troppo freddo, o quando dovevano nascondersi all'arrivo dei cacciatori. Grigio, sorridendo, accompagnò Cicco in una piccola radura dove, con sorpresa, il ragazzino scoprì… un mare di fragoline!
Ridendo felice, Cicco fece una gran scorpacciata, e ne raccolse anche un bel po' da portare alla mamma - che anche lei era golosa - poi, tornato serio, disse "grazie, davvero grazie. Mi hai fatto un regalo speciale. E pensare che invece io ti avevo tirato un gran calcio! Come posso fare a sdebitarmi?"
Grigio, che a dire il vero ci aveva già pensato, sorrise furbo: "beh, ecco, un modo ci sarebbe. Noi nel bosco abbiamo un gran problema, quando arriva l'inverno. Con il freddo arrivano anche i cacciatori, e riuscire a sfuggirli non è sempre facile…"
"Già, è vero - mormorò Cicco - da casa mia li vedo arrivare dalla strada, e poi si sentono gli spari, e la mamma non vuole che io esca, quando ci sono loro… è pericoloso anche per me"
"Ecco, allora tu potresti darci una mano… ti lascio un fischietto speciale - spiegò Grigio - che sentiamo solo noi. Quando vedi che arrivano i cacciatori, tu fischi così noi lo sappiamo e scappiamo…"
"Certo che lo farò" esclamò felice Cicco. Che da quel giorno si trasformò in una sentinella per gli animali del bosco. Ogni volta che vedeva arrivare i cacciatori, soffiava con forza nel fischietto, che era uno strumento speciale: rumore non ne faceva, ma gli animali, che sentono in modo diverso da noi, se ne accorgevano e correvano a nascondersi nella valle segreta.
I cacciatori per un po' pensarono semplicemente che non era ancora stagione giusta, poi però cominciarono a preoccuparsi "com'è che non troviamo più nessuno?" pensavano arrabbiati. E alla fine, dopo giorni e giorni senza scovar prede, decisero che quel bosco ormai non faceva più per loro, e piano piano smisero di andarci.
Con il risultato che Cicco e i suoi amici animali - oltre a Grigio Cicco aveva fatto amicizia con cerbiatti, daini, cinghiali, scoiattoli, conigli e lepri - fecero una gran festa. Ovviamente, nella valle segreta, con un'enorme torta di fragoline tutta per Cicco, la sentinella che sconfisse i cacciatori!

Licenza Creative Commons
Sogni di carta di Barbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

Il pesce Pino

Era una bella e fredda giornata di inizio inverno, Giocchino già pensava a quello che avrebbe fatto dopo la scuola…
Eh? Cosa? Come chi è Giocchino? Ah, già, non lo conoscete. Dunque Giocchino era un bimbo di 7 anni che viveva in un paesino sperduto tra le montagne… Cosa? Come sarebbe a dire "e che razza di nome è?"… Beh, a dire il vero, è un nome un po' strano. In effetti, a dir la verità, non è proprio un nome vero… dovete sapere che la sua mamma, che si chiama Giuditta, voleva chiamarlo Gioachino, ma il papà, Romeo, è sempre stato un po' distratto così quando il bimbo nacque e lui andò in comune a registrare il nome, invece di Gioachino scrisse Giocchino. Un errore dunque, e la mamma un po' si arrabbiò, ma ormai era fatta! E per esser sinceri, a Giocchino quel nome un po' strano piaceva proprio: ce l'aveva solo lui, era speciale e lo faceva sentire importante. Che, in realtà, Giocchino speciale lo era davvero… dunque, posso andare avanti con la storia? Ecco, stavo dicendo che in quel giorno particolare di cui voglio raccontarvi, Giocchino pensava a quello che avrebbe fatto dopo la scuola, perché Giocchino aveva una gran passione: la pesca. Gli aveva insegnato il nonno Carlone, un nonno che sapeva un sacco di storie e che conosceva un sacco di posti, e che era il terrore di trote, lucci, persici e alborelle. Giocchino amava la pesca e ogni volta che poteva scappava verso il fiume - beh, a dire il vero più che altro un torrentello - che correva non lontano dal suo paesello. E passava le sue giornata a sognare pesche avventurose e avventure pescose… Quel giorno però Giocchino non sapeva che sarebbe successa una cosa un po' strana e un po' paurosa. Dunque, dovete sapere che proprio il giorno prima nonno Carlone aveva detto a Giocchino che per un po' non si sarebbero potuti vedere. Nonno Carlone era vecchio, e si era ammalato. Giocchino, triste triste, gli aveva chiesto come poteva fare ad aiutarlo, e nonno Carlone, gentile come sempre, gli aveva spiegato: "Vedi Giocchino, non è niente di grave, ma ci vuole un po' di tempo, e se proprio vuoi farmi contento, devi promettermi che non ti preoccuperai, e che farai tutte le cose che ti piacciono. Se ti saprò contento, vedrai che guarirò in fretta".
Giocchino ci aveva pensato un po' su, e poi si era detto che, tra tutte le cose che gli piacevano, quella che proprio lo faceva sentire meglio era la pesca, e così aveva deciso che, dopo la scuola, sarebbe andato tutti i giorni al torrentello, così il nonno sarebbe guarito in fretta.
E così fece quel giorno speciale. Finita la scuola si precipitò a casa, preparò la canna da pesca, le esche, il cestino con la merenda, salutò mamma e papà e partì di gran carriera. Arrivato al torrentello, preparò tutto con cura: "voglio prendere un pesce speciale - pensava - da regalare al nonno. Così sarà ancora più contento".
Giocchino pescava godendosi la giornata. Era freddo, ma il sole splendeva e tutto attorno a lui il bosco risuonava di fruscii, cinguettii e schiocchi. C'erano tante cose da vedere e ascoltare, e Giocchino si sentiva davvero felice. A un certo punto però la canna improvvisamente venne strattonata, un urto violento che quasi fece cadere Giocchino in acqua. "Ehi - strillò il bimbo anche se non c'era nessuno ad ascoltarlo - che cosa ho preso!". A dir la verità, sembrava che ad essere preso fosse stato Giocchino: la canna infatti tirava sempre più e Giocchino non riusciva a portare a riva quello che si era agganciato all'amo, anzi, piano piano scivolava lui verso il torrente…
Con uno sforzo immenso, aggrappandosi ad un alberello, Giocchino riuscì a bloccarsi e poco per volta recuperò la lenza. Attaccato in fondo apparve un pescione enorme… un luccio, che nemmeno si sapeva che ci fossero i lucci in quel piccolo torrente di montagna!
"Ma guarda un po' - esclamò Giocchino - e questo, come lo porto a casa?"
"Ehi, chi ti ha detto che voglio venire a casa tua?" strillò una voce. Giocchino fece un gran salto! E chi parlava, adesso? Si guardò attorno, ma non c'era nessuno. Allora guardò meglio quel pescione… "Si, si, sono proprio io! Ma che ti è saltato in mente di infilarmi un amo in bocca?" gracchiò ancora il luccio.
"Ma.. ma… tu parli? Ma… ma… che cosa sei?" bofonchiò Giocchino
"Come cosa sono? Sono Pino, il re del torrente, e tu invece, come osi farmi questo scherzetto?".
Giocchino non sapeva che cosa pensare. Con le mani tremanti tolse l'amo, cercando di non far troppo male a quel coso che diceva di chiamarsi Pino e di essere un re.
"Ma, ma, ma… scusa sai, io non sapevo… volevo solo pescare un po'" cercò di giustificarsi.
"Si questo lo so - disse Pino, ancora un po' arrabbiato - visto che ti permetto di prendere qualcuno dei miei sudditi. Ma un conto sono trotelle e alborelle, altra cosa sono io! Rimettimi subito in acqua, se non vuoi che mi arrabbi sul serio"
"Certo certo - rispose Giocchino - ma mica l'ho fatto apposta… volevo un pescione da portare al nonno, che è ammalato, ma non avrei mai voluto far del male al re…"
"Ah, è così? E cos'ha il tuo nonno?" chiese Pino, improvvisamente interessato
"Eh, non so. Mi ha detto che sta male e che vuole che io faccia le cose che più mi piacciono, per farlo guarire prima…"
"Bene, bene. E quali sono le cose che ti piacciono? Pescare, appunto, vero?"
"Si, pescare mi piace molto, e mi piace anche passeggiar nei boschi, andare a funghi, e guardare gli animali… e mi piace anche la cioccolata!" rise Giocchino
Pino lo guardò un po' strano, poi incostante come tutti i lucci, scoppiò a ridere. "La cioccolata? E cosa sarebbe?"
Giocchino si frugò nelle tasche dove aveva sempre una scorta dolce. "Ecco, vuoi assaggiare?" e diede un pezzetto di cioccolata a Pino. Che, meraviglia delle meraviglie, scoprì la cosa più buona del mondo. Pino strabuzzò gli occhi, si rileccò tutto e fece un verso stranissimo: "ahhhhhhhh ancoraaaaaaa!!!!!"
Giocchino, un po' sorpreso e un po' preoccupato gliene diede un altro pezzetto, che Pino fece sparire in un baleno. "Questo è davvero un portento - urlò il pesce re - promettimi che me ne darai ancora e in cambio io ti darò tutto quello che vuoi"
Giocchino ci pensò un istante solo "tutto tutto? - chiese - davvero potresti?"
"Chiedi" disse Pino
"Ecco - cincischiò Giocchino - io vorrei che il nonno guarisca in fretta, e vorrei diventare il più bravo pescatore del mondo…"
"Sarà fatto" esclamò Pino, che in realtà - ma non lo dire a Giocchino, mi raccomando! - non era proprio un pesce, ma uno gnomo dei boschi che aveva visto Giocchino un po' triste e aveva deciso di aiutarlo.
E così, Giocchino tornò a casa alla velocità del fulmine. La mamma lo stava aspettando: "Giocchino, non ci crederai! Ha chiamato il nonno, è guarito. Domani viene e ti porta a fare un gran giro nei boschi!"
Giocchino, tutto felice, sorrise così tanto che quasi la bocca gli faceva male! E dal quel giorno non dimenticò mai l'impegno preso con Pino: prima di andare a scuola passava dal torrente e gettava in acqua un pezzetto di cioccolato che Pino faceva sparire in un baleno. E scoprì che anche l'altra promessa era stata mantenuta… ma questa, a dire il vero, è un'altra storia da raccontare un'altra volta!

Licenza Creative Commons
Sogni di carta di Barbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

giovedì 1 aprile 2010

Storia di Micaela

Altro racconto "serio"... fa parte della raccolta "Donne a perdere"

Non ce la faccio. Non ce la posso fare. Ditemelo voi, come se ne esce? No, non ce la faccio. Non ho la forza. Non ho la capacità. Chi ha detto che basta la volontà, che volere è potere? Chi è quel pazzo? E’ uno che si è mai trovato a vivere per davvero all’inferno? Ha mai provato ogni giorno a mettere insieme un pranzo e una cena, a tirare a lucido una casa, stirare alla perfezione montagne di panni, consolare un bambino che piange per una sbucciatura. E poi chiudersi in camera a guardare il vuoto. Quel buco nero che ti stringe, ti soffoca. Un ragno peloso che si attacca alla gola e non ti lascia più.
No, non ce la posso fare. E quell’altro che dice che finchè c’è vita c’è speranza.
Bravo anche quello.
Speranza. Speranza di cosa? Di svegliarsi una mattina e vedere il sole? Quale sole? Io vedo solo questa luce malata che entra da una finestra che sembra sempre sporca. Vedo un mondo che sembra non vedermi.
A chi importa di me? A che servo io? Che faccio io? Niente, non servo a niente, non faccio niente. Non valgo niente. La vita non vale niente.
Dite di no, che non è vero? Datemelo un motivo per cambiare opinione. Ve lo dico io che non ce ne sono. Nasci, cresci, combatti, muori. Per cosa, perché?
Ah si, me l’ha detto il dottore. “Sei depressa, curati, riposati, fatti aiutare”. Si, bravo. Parole, solo parole. Chi mi aiuta? Come mi curo? Come faccio a riposare? E perché dovrei? Per cosa?
Ci sono un mondo di domande che affollano la mente. E la risposta è sempre la stessa. Non c’è risposta. Non c’è senso. Non c’è scopo. Depressa. Gli ho riso in faccia, a quel dottorino supponente. Ci sono andata perché mi ha obbligata lui. Lui. Cosa vuole lui, che appena ha trovato quella che gli apriva le gambe senza fiatare non ci ha pensato un istante a scappare. Più giovane, più bella. Il ventre non ancora sformato dalle gravidanze. Però ancora pronto a giudicare. “Devi farti vedere, vai dal dottore. Vai, non mi costringere a portar via i bambini”.
Ecco quello che vuole. L’ho capito. Ci ho messo un po’ ma alla fine l’ho capito. Se gli do retta, se mi faccio curare come dice lui, d’accordo con quel dottorino che non sa nulla della vita, avrà la scusa pronta per portarmi via i bambini. “E’ malata, deve curarsi, diamole il tempo”. E così farà pure la figura dell’animo nobile, di quello che si preoccupa di me, della donna che ha buttato in discarica senza pensarci due volte. Ma non glielo permetterò. Ah no, caro mio. Io non ce la faccio. Io non ci riesco. Non vale la pena. Ma non vincerai tu. No, non te lo permetterò. Né a te né a quella là. Quella che quando mi incontrava per strada sorrideva e mi chiedeva “come stai?”…
La odio. E odio lui. Odio tutti voi.
E odio me e questa vita che non vale una cicca. Che non serve a niente. Che ti frega appena abbassi la guardia. No, non l’avrete vinta. Non valgo niente, ma non ve la darò vinta. Mai.


TITOLO IN CRONACA: Omicidio suicidio di una madre disperata. Uccide i due figli e si toglie la vita

Licenza Creative Commons
Sogni di carta di Barbara Sanaldi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale