giovedì 1 aprile 2010

Storia di Micaela

Altro racconto "serio"... fa parte della raccolta "Donne a perdere"

Non ce la faccio. Non ce la posso fare. Ditemelo voi, come se ne esce? No, non ce la faccio. Non ho la forza. Non ho la capacità. Chi ha detto che basta la volontà, che volere è potere? Chi è quel pazzo? E’ uno che si è mai trovato a vivere per davvero all’inferno? Ha mai provato ogni giorno a mettere insieme un pranzo e una cena, a tirare a lucido una casa, stirare alla perfezione montagne di panni, consolare un bambino che piange per una sbucciatura. E poi chiudersi in camera a guardare il vuoto. Quel buco nero che ti stringe, ti soffoca. Un ragno peloso che si attacca alla gola e non ti lascia più.
No, non ce la posso fare. E quell’altro che dice che finchè c’è vita c’è speranza.
Bravo anche quello.
Speranza. Speranza di cosa? Di svegliarsi una mattina e vedere il sole? Quale sole? Io vedo solo questa luce malata che entra da una finestra che sembra sempre sporca. Vedo un mondo che sembra non vedermi.
A chi importa di me? A che servo io? Che faccio io? Niente, non servo a niente, non faccio niente. Non valgo niente. La vita non vale niente.
Dite di no, che non è vero? Datemelo un motivo per cambiare opinione. Ve lo dico io che non ce ne sono. Nasci, cresci, combatti, muori. Per cosa, perché?
Ah si, me l’ha detto il dottore. “Sei depressa, curati, riposati, fatti aiutare”. Si, bravo. Parole, solo parole. Chi mi aiuta? Come mi curo? Come faccio a riposare? E perché dovrei? Per cosa?
Ci sono un mondo di domande che affollano la mente. E la risposta è sempre la stessa. Non c’è risposta. Non c’è senso. Non c’è scopo. Depressa. Gli ho riso in faccia, a quel dottorino supponente. Ci sono andata perché mi ha obbligata lui. Lui. Cosa vuole lui, che appena ha trovato quella che gli apriva le gambe senza fiatare non ci ha pensato un istante a scappare. Più giovane, più bella. Il ventre non ancora sformato dalle gravidanze. Però ancora pronto a giudicare. “Devi farti vedere, vai dal dottore. Vai, non mi costringere a portar via i bambini”.
Ecco quello che vuole. L’ho capito. Ci ho messo un po’ ma alla fine l’ho capito. Se gli do retta, se mi faccio curare come dice lui, d’accordo con quel dottorino che non sa nulla della vita, avrà la scusa pronta per portarmi via i bambini. “E’ malata, deve curarsi, diamole il tempo”. E così farà pure la figura dell’animo nobile, di quello che si preoccupa di me, della donna che ha buttato in discarica senza pensarci due volte. Ma non glielo permetterò. Ah no, caro mio. Io non ce la faccio. Io non ci riesco. Non vale la pena. Ma non vincerai tu. No, non te lo permetterò. Né a te né a quella là. Quella che quando mi incontrava per strada sorrideva e mi chiedeva “come stai?”…
La odio. E odio lui. Odio tutti voi.
E odio me e questa vita che non vale una cicca. Che non serve a niente. Che ti frega appena abbassi la guardia. No, non l’avrete vinta. Non valgo niente, ma non ve la darò vinta. Mai.


TITOLO IN CRONACA: Omicidio suicidio di una madre disperata. Uccide i due figli e si toglie la vita

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