venerdì 28 maggio 2010

Viaggio nel Paese delle Rose

"Non ci credo, proprio non ci credo… E' una cosa così, così…. Non mi vengono neanche le parole!" Per la prima volta nella sua vita Martina non sapeva proprio cosa dire. Era appena tornata a casa dopo un'avventura incredibile - lo sapete, no? Aveva incontrato Celli e le sue amiche fatine - e proprio non sapeva darsi una spiegazione. Carolina invece, che di magia ne sapeva proprio tanto, sorrideva contenta. Quell'incontro le aveva confermato quello che pensava da sempre: i bimbi umani sono davvero un po' magici, e basta volerlo che tutto diventa possibile…
"No Carolina, non ci credo davvero - esclamò Martina - secondo me abbiamo sognato tutto… ma dai, un cavallo con le ali? E poi quelle buffe farfalline che aveva sulla schiena… tu dici che erano fatine, ma come faccio a crederci?"
Carolina non rispose. Stava pensando come fare a convincere Martina e all'improvviso le venne un'idea: "Ehi, dammi un po' i tuoi pastelli e i fogli…".
Carolina si mise a disegnare velocissima e in un istante apparve quel mondo che quello strano cavallo alato aveva descritto… Lo avete capito, no?, il Paese delle Rose!
Carolina aveva disegnato un grande prato tutto colorato dai petali dei fiori, alberi verdi e in alto un cielo azzurro con qualche nuvoletta bianca. E poi aveva disegnato qualche fatina, un paio di gnometti, e un folletto nascosto dietro un fungo.
"Ecco - disse - questo è quello che ci ha raccontato… vediamo un po' cosa succede adesso!"
E, essendo una storia di Martina, ovviamente successe: la sua fatina misteriosa arrivò, con un tocco leggero di bacchetta spedì Martina, e questa volta anche Carolina, in quel fantastico disegno.
Martina, che ancora non si era abituata a quegli strani viaggi, si stropicciò gli occhi. "Ehi - disse - ma allora non sto sognando! Siamo qui per davvero!"
Subito attorno a lei e alla bambolina magica arrivarono curiosi gli abitanti di quel paese. "E tu chi sei? Da dove arrivi? Giochi con noi?". Come sempre fatine, folletti e gnomi parlavano tutti insieme, creando una gran confusione e ridendo felici di quella nuova, strana amica arrivata chissà da dove.
Martina, ancora un po' stupita, si guardò attorno e all'improvviso si illuminò tutta. Di gran carriera, con la criniera scompigliata dalla fretta, stava arrivando niente meno che… Celli!
Martina gli corse incontro e lo abbracciò felice. "Ma allora esisti per davvero!" esclamò.
Celli sbuffò "Certo che esisto! A dir la verità, eri tu che non sapevo se eri vera!"
E scoppiarono tutti a ridere, felici di quella nuova avventura che sembrava l'inizio di una nuova, bellissima amicizia.
Quello che però non sapevano, era che proprio in quel momento per il Paese delle Rose si stava preparando un altro pericolo. Già, sempre lui, quel catti-cattivissimo mago Zazum che proprio di arrendersi non ne voleva sapere. Sempre nascosto nella sua nuvoletta nera osservò il gruppetto e decise di tentare un'altra magia.
"Una bambina umana - pensava - mi servirà sicuramente! Loro non hanno magia, la catturerò e per liberarla dovranno per forza obbedirmi!"
Zazum preparò con cura una rete magica fatta di nuvole e fili di ragno e… Oplà, la lanciò verso Martina che si ritrovò impigliata e imprigionata.
"Ehi - strillò - cos'è questa roba appiccicosa e fredda? Aiuto, qualcuno mi liberi!"
Dall'alto tuonò la solita voce "Quello sgorbietto - strillò Zazum - è mio prigioniero e me la porterò via con me se non diventerò il vostro imperatore. Accettate di obbedirmi, e inginocchiatevi, o la bambina non tornerà mai più"
Carolina, furibonda, si guardò attorno fino a che non trovò un grande ramo spinoso - era un ramo di rose, ovviamente - e lo afferrò decisa a difendere la sua amica "Ehi - strillò - fatti vedere, vieni giù e prova a prendere anche me!"
Zazum rise cattivo "figuriamoci, una pulce come te!" e si preparò a portar via Martina.
Allora Celli, in un battibaleno, si caricò Carolina sulle spalle, sempre armata di quel ramo spinoso, e con le ali potenti in un batter d'occhio arrivò alla nuvoletta nera che nascondeva Zazum.
Carolina, coraggiosa come sanno essere solo le bamboline magiche, sferrò un gran colpo contro quella nuvoletta. Si sentì un PATAPUM SHHHH AHIIIIIII…. Una delle spine si era infatti infilata… nel sedere di Zazum! Che, per il dolore, lasciò la rete con la quale aveva catturato Martina e cominciò a saltellare strillando…. "Ahia ahia ahia - urlava saltando dentro e fuori dalla nuvoletta - che male!!! Ma possibile che non me ne va bene una!!!"
Zazum, sempre urlando e saltando, scappò via trascinato dal vento che sospingeva la sua nuvola. Celli e Carolina tornarono velocemente a terra, dove Martina, aiutata da gnomi e fatine, si stava finalmente liberando da quella rete appiccicosa. "Uff - disse - ma chi era quel matto? Che voleva?"
Celli, ridendo felice per come erano andate le cose, spiegò a Martina la storia di Zazum, e le disse "vedi? Ancora una volta a sconfiggerlo è stato un piccolo, questa volta una bambolina!"
E tutti giù a ridere! Poi Martina si guardò attorno: "Ehi, adesso però è tardi, noi dobbiamo tornare a casa!"
Celli, un po' triste, la guardò un attimo, e poi esclamò: "va bene, però a un patto: prometti che tornerai! Abbiamo un sacco di cose da fare noi!"
Martina promise, poi assieme a Carolina chiuse gli occhi e… si ritrovò a casa.
"Mamma mia! - esclamò - che bel posto, ed è tutto vero! Carolina, ci torniamo presto, eh?". Poi, visto che era tardi, andò a nanna e, cosa non certo difficile da credere, sognò… il Paese delle Rose.

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martedì 25 maggio 2010

L'avventura di Celli

Questa è una strana storia, strana perfino per uno strano posto come era il Paese delle Rose. Così strana che ancora non so se crederci davvero… ma tant'è, io ve la racconto, tanto si sa, la fantasia, come la magia, è potente…
Dunque, tutto ebbe inizio quando nel Paese delle Rose arrivarono degli animali che non si erano mai visti. Niente di magico questa volta, almeno, non del tutto… Gli animali erano cavalli, forti, eleganti e intelligenti. Beh, a dire la verità, essendo una storia del Paese delle Rose, è chiaro che non erano cavalli come li conosciamo noi. Sapevano parlare, ovvio, ma avevano anche un'altra cosa che li faceva apparire diversi: avevano le ali. Grandi, forti e coloratissime ali capaci di trasformare anche il cavallino più timido in una specie di fantastico aeroplano.
Ecco, quei cavalli non erano sempre vissuti nel Paese delle Rose dove, lo sapete, un tempo c'erano solo animaletti piccolini, qualche cervo e fate, gnomi e folletti. I cavalli alati invece vivevano in un altro posto, un mondo così lontano e fatato che nessuno l'aveva mai nemmeno sentito nominare. Solo che un giorno, in quel mondo, successe che un mago cattivo, non si sa né come né perché, fece una magia che svegliò un vulcano. Allora tutto quel mondo si ritrovò infuocato, con la lava dappertutto e le piante che bruciavano. I cavalli alati allora si riunirono e decisero che era meglio scappare lontano, via da quel mondo infuocato e, soprattutto, lontano da quel mago pazzo e cattivo. E così si misero in volo, viaggiarono e viaggiarono finchè Celli, che era un cavallino ancora giovane giovane, vide una cosa che gli piacque moltissimo: un paese tutto verde con mille fiori colorati che sembravano macchie d'allegria. Mentre guardava, sentì delle risate salire verso il cielo - erano fate e folletti che giocavano, ma voi lo sapete, no?, che nel Paese delle Rose tutti gli abitanti erano felici e ridevano spesso! - e la cosa gli piacque ancora di più. Celli allora chiamò mamma e papà: "Ehi - nitrì - guardate là, che ne dite? E' un posto bellissimo!"
I cavalli alati allora cominciarono a girare attorno a Paese delle Rose e tutti capirono che era un posto speciale. Così, alla fine, il capo del branco - un cavallo nero con le ali screziate d'oro che si chiamava Jet - decise di scendere. Jet ordinò, con la sua voce roboante: "aspettatemi qui, vado a vedere se possiamo vivere qua". E si posò su un morbido prato. Subito attorno a lui arrivarono fatine, gnomi e folletti: "Ehi, e tu chi sei?" chiesero incuriositi, girandogli attorno e tastando pelo e ali…
Jet si presentò cortese, e poi disse "Io e i miei amici stiamo cercando un posto dove vivere. Possiamo fermarci qui con voi?"
"Certo che si - risposero all'unisono fate, gnomi e folletti - c'è tanto posto, e abbiamo sempre bisogno di nuovi amici". E fu così che nel Paese delle Rose arrivarono i cavalli alati.
Celli, che per primo aveva notato quel magnifico posto, era entusiasta. Fece subito amicizia con alcune fatine, e passava le sue giornate tra giochi e gare di volo. Un giorno con le sue amichette decise che voleva provare a volare più in alto di tutti, perfino dei passerotti. Così si mise le sue amiche fatine - che erano Stella, Tatina, Lupetta e Mina - sulle spalle e disse: "tenetevi forte, stiamo per fare un viaggio che non avete mai visto".
Celli spiegò le ali e partì di gran carriera. Volò e volò, e ancora volò, e all'improvviso successe una cosa strana. Si sentì un rumore fortissimo, come quando un bicchiere cade per terra… CRASHHHHH
Poi la luce del sole improvvisamente cambiò e i cinque amici si ritrovarono…. In una città! Ma non una città del Paese delle Rose, dove a dire il vero le città non c'erano. Proprio una città vera! Dappertutto c'erano palazzi, e strade, e macchine - che loro non le avevano mai viste - e tante persone. Insomma, Celli aveva volato così alto e così lontano che era finito nel nostro mondo!
I cinque, spaventati da tutte quelle cose strane, cercarono un posto dove fermarsi. Celli vide un parchetto con qualche alberello e un po' di fiorellini. "Meglio di niente" pensò, e si posò in mezzo al praticello. "E adesso, dove siamo finiti?" esclamò.
I cinque non si erano però accorti che in quel parchetto c'era una bimba che li guardava a bocca aperta. La bimba, che proprio non credeva ai propri occhi, si avvicinò al gruppetto di amici fatati: "e voi chi siete" chiese con voce tremante.
I cinque, che non avevano mai visto un bambino e men che meno un bambino umano, sembrarono quasi voler scappare, ma la bimba sembrava così carina… Allora Celli si fece coraggio e si presentò, spiegando anche che non sapevano dove erano finiti, e non sapevano nemmeno come fare a tornarsene a casa loro.
La bimba ci pensò un po' su, e poi fece una cosa stranissima: si girò e chiamò a gran voce "Carolinaaaaaa"…. Eh già, quella bimba era proprio Martina!
La bambolina magica arrivò in un battibaleno "Che succede?"
Martina spiegò il problema e disse "Tu non hai una fatina amica che ti aiuta? Magari può aiutare anche loro. Poverini, questo non è il loro mondo, e vogliono tornare a casa!"
Carolina chiamò allora la sua fatina, che solo lei poteva vedere e sentire, e questa - che in realtà era una fatina che un tempo aveva vissuto nel Paese delle Rose, e quindi sapeva bene come fare! - si mise sull'orecchio di Celli. Sussurrò poche parole, e Celli cominciò a ridere! "Ehi, ma così è davvero facile!" esclamò. Perché in realtà, gli aveva detto la fatina, per tornare a casa doveva semplicemente… volare forte come prima! Celli ringraziò Martina, Carolina e la fatina, si caricò di nuovo le sue amiche sulle spalle, e partì. Via veloce, fino a quando sentirono di nuovo quel fragoroso CRASHHHHHH
Ed eccoli di nuovo a casa! "Meno male - disse quasi incredulo Celli - che posto strano abbiamo visto". "Ma sei sicuro che l'abbiamo visto davvero - chiese Tatina - secondo me era un sogno!"
"Già - disse Mina - un posto così strano, mi sa che non esiste mica"
"No no - disse invece Stella - esiste, ma io non ci voglio tornare mai più"
"Però quella bambina - rispose Celli - era simpatica e carina…"
E Celli, senza dirlo alle sue amiche, pensò che magari un giorno sarebbe potuto tornare in quello strano mondo… chissà, magari anche là avrebbe trovato nuovi amici.
Ecco, questa è la storia di un giorno davvero strano. Che ne dite, sarà una storia vera? E Celli? L'avete mai visto? Chissà, magari un giorno accadrà!

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mercoledì 19 maggio 2010

Fiordistella

In un grande castello su una collina, lontano da un piccolo paese fiorito, viveva una principessa di nome Fiordistella. Era una bella bambina, obbediente ed educata, ma sempre triste. Fiordistella aveva infatti come unico amico un topolino di nome Siro. Nel castello c'erano guardie e camerieri, cuoche e servitori, ma nessun bambino, e Fiordistella si affacciava dalla finestra più alta e guardava lontano lontano, attraverso i campi e oltre il bosco, da dove, sospinte dal vento, arrivavano grida e risate. sospirava la principessa. E poi triste triste tornava ai suoi compiti. Un giorno il topolino Siro, stanco di vederla così triste, decise di fare qualcosa e, senza dirle niente, andò a cercare dei vecchi abiti, una camicia ed un paio di pantaloni. Li portò nella camera di Fiordistella e le fece togliere il vestito da principessa per indossarli. Poi, prendendola per mano, le fece scendere una lunga scala, attraversare un corridoio buio e sgattaiolare nelle cucine. Infine, trovò una porta piccola piccola e la face uscire. Poi di corsa attraversarono i prati ed il bosco ed ecco che arrivarono in paese. Fiordistella, a bocca aperta, vide un parco con tante cose strane che non aveva mai visto. Se ne stava lì, stupita ed imbambolata, a guardare un'altalena senza sapere cosa farsene, quando sentì una voce… . Fiordistella si girò, e timida timida diventò tutta rossa senza sapere cosa dire. . Poi senza darle il tempo di rispondere la prese per mano e la fece salire sull'altalena. E Fiordistella si scoprì a ridere come non mai, senza fiato, mentre Giorgio la spingeva sempre più in alto. Poi Giorgio la accompagnò a tutte le altre giostre, e glie le fece provare spiegandole come funzionavano e a cosa servivano. Fiordistella era ancora rossa in viso, ma adesso perché era contenta. Giorgio poi le prese ancora la mano e la portò vicino ad altri bambini. disse tutto d'un fiato. . . E così per tutto il pomeriggio, Fiordistella si divertì come non mai giocando a nascondino, a guardia e ladri, all'elastico e a palla prigioniera…. Ma ad un certo punto sentì qualcosa muoversi nella tasca dei pantaloni. Era il topolino Siro che, in un sussurro, le disse: . Fiordistella corse a perdifiato, riattraversò il bosco ed il prato, entrò nella porta piccola piccola e sgattaiolò nelle cucine, percorse il corridoio buio e salì la scala grande fino a tornare nella sua camera. Qui si lavò e si cambiò, indossando ancora il suo vestito da principessa, poi raggiunse sua mamma la regina e suo papà il re nella grande sala da pranzo del castello. . iniziò imbarazzata Fiordistella. Poi all'improvviso si ricordò che le bugie sono proprio brutte e tutto d'un fiato raccontò ogni cosa: . La mamma ed il papà si guardarono, un po' arrabbiati perché Fiordistella era uscita senza dire niente, e un po' divertiti. Il papà si schiarì la voce: . Poi sorridendo disse: . strillò felice Fiordistella. E da quel giorno continuò a vedere i suoi nuovi amici, senza però scappare mai più e raccontando sempre la verità a mamma e papà.




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venerdì 14 maggio 2010

La noce di Gioachino

Questa sera vi voglio raccontare una storia magica, la storia di Gioachino e di come scoprì il segreto per vincere la paura. Gioachino era un bimbo timido e riservato, che viveva in un paese con pochi bambini, sperduto in mezzo alla montagna. Gioachino, che aveva così pochi amici e passava le sue giornate in casa a giocare da solo, aveva paura di tutto. Del vento che soffiava fuori, dei rumori che, soprattutto di notte, facevano scricchiolare la casa, delle voci degli animali che si sentivano risuonare nei boschi. E poi ancora, aveva paura di restare da solo, e aveva paura che mamma e papà si ammalassero. E sopra tutto aveva paura di diventare grande. "Perché se io cresco - pensava - la mamma e il papà, i nonni e i miei amici invecchiano".
Gioachino ogni tanto cercava di spiegare alla mamma le sue paure, ma era piccolo piccolo e ancora non sapeva parlare tanto bene, e poi non era facile raccontare quei pensieri che ogni tanto facevano capolino e lo facevano tremare tutto. E allora si chiudeva nella sua stanzetta, stringeva forte forte gli occhi e piangeva. Oppure, disperato, si metteva a far capricci per ogni cosa, e finiva che la mamma si arrabbiava e lo metteva in castigo. Le giornate passavano così, e Gioachino era sempre più spaventato: "accidenti - pensava triste triste - cosa posso fare? Sono piccolo, nessuno mi ascolta, ma io ho paura"…
Qualcuno però si era accorto di Gioachino e dei suoi timori. In quel piccolo paese sperduto in mezzo alla montagna viveva infatti da sempre un folletto dal nome un po' strano, Piripacchio, e dalle buffe abitudini. Piripacchio, che vestiva sempre di rosso, con un cappellaccio a puntini gialli, amava infatti far dispetti e scherzetti a chiunque gli capitasse a tiro. Abitava sotto un grande fungo marrone e amava sgranocchiare i gusci delle nocciole… Bleah direte voi, ma a lui piacevano tanto!
Comunque, anche se era strano e dispettoso, Piripacchio in fondo era buono e gentile, e proprio non gli piaceva veder soffrire un bambino. Quando si accorse della paura di Gioachino, decise di aiutarlo, ma non sapeva come fare perché temeva che il bimbo, sempre spaventato, scappasse anche da lui.
Pensa che ti ripensa, escogitò un piccolo trucco. Una sera scoprì che una delle finestre di Gioachino era rimasta leggermente aperta, si infilò nello spazio - Piripacchio come tutti i folletti era davvero piccolo piccolo - e si nascose nella camera del bimbo. Aspettò che Gioachino si addormentasse, poi zitto zitto si infilò sotto il cuscino e con una vocetta sottile sottile raccontò una storia… Era una storia magica, che parlava di un potente talismano - a dire il vero era solo una noce, ma Piripacchio era bravo a raccontare - che, una volta scoperto da quel bambino che sarebbe stato così bravo a scoprirlo, lo avrebbe protetto da tutti i pericoli del mondo.
Piripacchio raccontò, e Gioachino pensò di aver fatto un sogno davvero speciale: la mattina, al risveglio, si ricordava ogni parola, e decise di provare. Partì così alla ricerca di quel talismano che lui pensava di aver sognato. Per una volta dimentico della sua paura, infilò pantaloni, cappotto e scarpe pesanti e affrontò deciso la strada verso il bosco. Qui cominciò a pensare: "il sogno ha detto che la noce è nascosta bene, allora non può essere troppo facile da trovare…. Ma io non mi arrendo".
E iniziò a guardarsi attorno. Era così deciso a trovare il suo talismano che nemmeno una volta si preoccupò degli animali che vivevano in quel bosco, e neppure sentiva il vento che soffiava forte e faceva risuonare gli alberi. Tanto concentrato che, a un certo punto, mentre cercava di salire su una pianta particolarmente alta, si ritrovò a pensare "accidenti, come vorrei essere già cresciuto, così magari riuscirei a salire più facilmente…"
A un certo punto vide un vecchio e nodoso albero, tutto contorto, e scoprì che nel tronco c'era un grande buco. Allora infilò la manina e…. sorpresa! Sul fondo trovò una noce. Era grande, lucida, perfetta! Proprio quella del sogno. Gioachino, felice, se la infilò in tasca e tornò a casa.
La sera Piripacchio rifece la stessa strada, tornò nella cameretta e aspettò che il bimbo si addormentasse. Poi, ancora una volta con la vocetta sottile sottile, gli raccontò che finalmente la noce-talismano era stata trovata, e che adesso ogni cosa sarebbe andata a posto.
La mattina dopo Gioachino si svegliò felice, strinse forte la sua noce e decise che non se ne sarebbe mai separato. Quel giorno scoprì di non aver più paura degli scricchiolii della casa, dei rumori improvvisi e del vento che soffiava forte. E scoprì anche che, se non faceva capricci e ascoltava la mamma, riusciva perfino a spiegarle cosa avrebbe voluto…. Insomma, alla fine della giornata Gioachino si ritrovò, felice e soddisfatto, convinto di aver veramente trovato un tesoro.
I giorni passarono, il folletto Piripacchio continuava a controllare il bimbo e lo vide diventare sempre più forte e sicuro. Gioachino non aveva più paura, si fece nuovi amici, decise che voleva diventare grande e forte come il suo papà, e piano piano dimenticò perfino la timidezza. La noce sempre in tasca, Gioachino divenne infine un giovane uomo. E quando, alla fine, si sposò ed ebbe un figlio - che chiamò Giacomo - tanto per non correre rischi, e convinto che in fondo un po' di magia può sempre aiutare, regalò quella noce ormai vecchia e un po' consumata al suo bimbo.

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mercoledì 12 maggio 2010

Storia Magica

Quella che sto per raccontare è una storia magica, tanto magica che davvero non ci si crede. Ma è una storia vera, capitata tanto, tanto tempo fa, ad un bimbo un po' speciale…Non ci credete? Vediamo, io adesso racconto, poi mi dite. Tanto lo sapete, nel mondo della fantasia davvero tutto è possibile, e allora… non si sa mai!
Dunque, vediamo. Era una notte d'inverno. Sui prati e sui boschi nevicava fitto fitto. Faceva freddo, così freddo che se qualche animaletto incauto si avventurava all'aperto i baffi si gelavano all'istante, diventando ghiaccioli durissimi. Che poi nemmeno se li poteva mangiare, perché i baffi mica hanno lo sciroppo alla menta!
Vabbeh, si lo so, ho detto una stupidaggine, ma ogni tanto lasciatemelo fare, su… ecco, torniamo alla nostra storia e al nostro protagonista, tanto l'avete capito che era proprio una di quelle notti che è meglio restarsene al calduccio sotto le coperte, avvoltolati stretti stretti fino alla punta del naso… ed era proprio quello che stava facendo Jopè, appunto il nostro protagonista. Jopè se ne stava comodo comodo nel suo lettino, al caldo nella sua stanza, all'interno della sua casetta, un rifugio carino sul limitare del bosco. Jopè, che era un bimbetto sveglio ed intelligente, aveva sbafato la deliziosa cena preparata dalla mamma, aveva giocato un po' davanti al camino e poi, sbadigliando, era andato a far la nanna, pregustando una notte tranquilla visitata da mille sogni colorati e divertenti. Ed eccolo, con addosso il pigiama e infilato sotto le coperte: "allora - sussurrava a mezza voce, già mezzo addormentato - vediamo un po', cosa posso sognare questa notte… magari un'avventura nei boschi con quel folletto di cui parla sempre la mamma… com'è che si chiama? Ah si, Valentino… mah, io però mica l'ho mai incontrato…"
Jopè, che aveva una gran fantasia e si divertiva un mondo a inventare storie che poi raccontava ai suoi amici, iniziò a pensare a cosa avrebbe potuto fare se avesse incontrato quel tal Valentino… Come prima cosa pensò a quello che gli aveva raccontato la mamma, e cioè a come era quel folletto che lui non aveva mai visto ma che la mamma sembrava conoscere davvero bene… Ecco, un gran cappello a punta, un vestito tutto colorato fatto di foglie e fiori, una barbetta che scendeva fin alla vita, le orecchie grandi e un po' arrotolate in cima… "Ma che buffo che sembra!" pensò Jopè. Solo che invece di pensarlo solamente, lo disse ad alta voce e scoppiò a ridere… ed ecco che successe quella cosa strana e magica che dicevo: all'improvviso, nella cameretta buia, dove l'unica luce era quella della notte innevata che entrava dalla finestra - Jopè amava dormire con le persiane aperte, così la mattina il primo sole entrava a svegliarlo dolcemente! - ci fu uno sbuffo di fumo, uno scoppio sordo e un tonfo… "A chi hai detto buffo?" strillò una vocetta indispettita. Eh già, era proprio Valentino! Ed era proprio come Jopè se l'era immaginato, cappello, barbetta e orecchie comprese! Jopè sgranò gli occhi, se li stropicciò ben bene e tanto per essere sicuro si diede anche un gran pizzicotto - si sa mai che si fosse già addormentato e stesse sognando - ma come unico risultato, oltre al male alla gamba che s'era pizzicato, ottenne di vedere quello strano coso che era apparso nella sua cameretta tutto sfuocato… si, appunto, come succede quando ci stropicciamo gli occhi un po' troppo forte.
"Ma, ma, ma… e tu chi sei?" balbettò Jopè. "Come chi sono? Mi hai chiamato tu, no? Sono Valentino. Anche se proprio non so se dovevo venire… mi hai proprio offeso, sai" disse il folletto, ancora un po' indispettito. Che del resto, lo sapete no?, i folletti sono permalosi, meglio non prenderli troppo in giro!
"Ma io mica lo sapevo che c'eri davvero - disse allora Jopè - io pensavo che fossi un'invenzione della mamma che mi racconta sempre tante storie. E io stavo pensando a come saresti potuto essere, mica a come sei davvero…" tentò di spiegare il bimbo.
"Si, si. Dai, lasciamo stare - sbuffò Valentino - piuttosto, adesso che sono qui, cosa dobbiamo fare?"
"Come cosa dobbiamo fare? Io volevo dormire…"
"Ma non volevi vivere una grande avventura?"
"Anche questo hai sentito… oh mamma, ma l'avventura la volevo vivere in sogno! Fuori fa freddo, è inverno, nevica…" disse Jopè
Valentino lo guardò un po' storto, con un sorrisetto furbo disegnato tra la barba. "Ah, e tu mi fai venir qui per un sogno. Ma ti sembra, con tutto quello che ho da fare! E guarda che fa freddo anche per me, sai, che ti credi!"
Jopè cominciò a preoccuparsi. E se quello strano e buffo - eh si, continuava a pensare che fosse proprio buffo! - ometto avesse deciso di portarlo fuori, nel bosco, al freddo… mamma mia, meglio non pensarci! Ma Valentino sembrava proprio deciso, e a ben guardare si notava una luce strana in fondo agli occhi. E infatti… schioccò le dita e… puf! La cameretta svanì. Jopè e Valentino si ritrovarono a volteggiare in una nuvola di fumo, tutto attorno a loro volute dense vorticavano velocemente. Jopè non fece però nemmeno in tempo a spaventarsi che un nuovo schiocco, e un tonfo, lo trasportarono in un posto che non aveva mai visto… attorno a lui non c'era la neve, ma prati fioriti, alberi enormi, cespugli profumati. E in alto, al posto del cielo nuvoloso e grigio, un tetto d'azzurro con qualche nuvoletta bianca che correva sospinta da un venticello leggero… "Ma, dove siamo finiti?" chiese con la voce strozzata un sorpresissimo Jopè
"Ma dai, davvero non lo sai? E' il paese dove avrai l'avventura che tanto volevi" risposte furbetto Valentino.
In quel mentre da dietro un cespuglio spuntarono due orecchie lunghe, seguite da un paio di occhi, e da una barba cespugliosa… "Ehi, e voi chi sareste? E come siete arrivati qua?" chiese un vocione burbero che non lasciava presagire nulla di buono… solo che poi da quel cespuglio uscì… un ometto piccolo piccolo, tutto ingarbugliato e pieno di foglie e fiori che spuntavano da barba e capelli. Jopè sgranò un'altra volta gli occhi. Per un attimo aveva temuto di trovarsi davanti un'orco - che la mamma diceva sempre che davvero c'era da aver paura! - e invece… insomma… cos'era quel "coso"?
"Io sono un bambino - disse così - e mi chiamo Jopè, e non so come sono arrivato qua, né cosa devo fare. Tu invece, chi sei?"
"Io sono Uliolo, e sono uno gnomo, il più bello e il più intelligente del mio paese" dichiarò tutto tronfio l'ometto. E in quel mentre fece un passo avanti, senza però guardare dove metteva i piedi. Risultato… finì pancia a terra e ruzzolò nel fiumiciattolo che scorreva proprio accanto al cespuglio dal quale era uscito. Uliolo si ritrovò così infradiciato fino alle orecchie - e meno male che in quel posto non faceva freddo! - con l'acqua che scorreva a rivoli tra barba e capelli, e un pesciolino spaventato che si ritrovò infilato in una delle grandi orecchie… Jopè scoppiò a ridere, tanto forte da spaventare gli uccellini che dormicchiavano sulla cima degli alberi - e a dir la verità questi scapparono brontolando, che proprio non gli andava giù di esser stati svegliati bruscamente! - con il risultato che lo gnomo, ancora più permaloso di Valentino, si arrabbiò moltissimo. "Ridi di me? - strillò tutto rosso in faccia - ma come osi? Adesso ti faccio vedere io…" e detto fatto, afferrò Jopè per una gamba e… lo trascinò in acqua! Jopè, a sua volta, per tentare di resistere afferrò la barba di Valentino che, colto alla sprovvista, cadde… e finirono tutti nel torrente!
A quel punto, zuppi d'acqua, con i pesciolini che giravano attorno incuriositi e ninfee che spuntavano dai capelli, i tre si guardarono torvi… sembravano pronti ad azzuffarsi. Ma poi Jopè si accorse che Valentino aveva un'alga arrotolata attorno alle orecchie, e Uliolo un rametto di salice che gli spuntava da dietro la testa. E scoppiò in una risata fragorosa! A quel punto anche gli altri due si guardarono, e iniziarono prima a ridacchiare, poi a ridere fragorosamente. Alla fine, tutti e tre si tenevano la pancia per le gran risate mentre tutto attorno a loro un gran numero di animaletti - conigli, scoiattoli, topolini, uccellini - li guardava stupiti… I tre risero fino ad avere gli occhi pieni di lacrime e la bocca che faceva male! Un riso così non si era mai visto… ma che divertimento, ragazzi! Altro che grande avventura, Jopè non si era mai divertito tanto! Dopo un bel po', i tre uscirono dal torrentello, ormai diventati amici per la pelle. Uliolo, rabbonito, abbracciò forte Jopè e Valentino. "Beh, adesso devo proprio andare ad asciugarmi - disse - ma mi raccomando, tornate a trovarmi, eh". Jopè e Valentino, ancora affannati dalle gran risate, promisero, e il folletto, guardando il bimbo, disse "adesso è meglio che ti riporti a casa, che anche tu devi asciugarti…". Detto e fatto, di nuovo lo schiocco, il fumo, un altro schiocco e un tonfo, e Jopè si ritrovò nella sua camera, nel suo lettino, con il pigiama - asciutto - addosso e infilato sotto le coperte… "Ma, ma allora ho sognato?!" pensò. Poi però fece una scoperta… passando una mano tra i capelli trovò… una ninfea! Sogno? Mah, e quel fiore da dove era arrivato? Jopè se lo sta ancora chiedendo, e ancora aspetta Valentino… chissà mai dove lo porterà la prossima volta!

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domenica 9 maggio 2010

Un mondo a colori

Paolino era triste e arrabbiato. Mamma e papà avevano deciso di cambiare casa e lui, che era un bimbo di 5 anni, aveva dovuto salutare tutti gli amichetti. "Ecco, io sono troppo piccolo - pensava arrabbiato - quello che voglio io non interessa a nessuno, e adesso non vedrò mai più tutti i miei amici"…
La nuova casa era molto bella, in un posto molto carino, ma Paolino si guardava attorno spaesato e pensava "e adesso? Con chi gioco?".
Insomma, quel giorno proprio non aveva voglia di fare nulla, solo un sacco di capricci… "mi avete portato via - mugugnava mentre si guardava attorno nella nuova cameretta - e allora adesso vi faccio vedere…"
Perché Paolino sapeva bene come far arrabbiare mamma e papà, e aveva tutte le intenzioni di far capire che così proprio non gli andava bene: e cominciò con un una serie infinita di capriccetti… "no, quella coperta non mi piace"… "no, le tende io non le voglio"… "dove avete messo il mio peluche" - che poi era quello che lui aveva regalato ad Anna, la sua amica del cuore, ma mamma e papà mica lo sapevano! - e poi ancora "la pappa mangiatela te"… "voglio un gelatooooooo"…. E giù di strilli e pianti inconsolabili.
Mamma e papà non sapevano proprio più cosa fare, quel giorno Paolino sembrava trasformato in una specie di diavoletto urlante… mancavano solo fuoco e fiamme e la trasformazione sarebbe stata completa!
A un certo punto la mamma, ormai stanchissima e strarrabbiata, decise di andare al parco, "magari così si distrae e si calma" disse al papà. E infilato cappotto e scarpe - ad un Paolino imbufalito che continuava ad urlare "NOOOOOOOO" - imboccò la porta trascinandosi dietro il piccolo.
Il parco, che era non lontano da casa, era molto bello. C'erano un sacco di giochi, scivoli, altalene, girello, una vasca di sabbia… insomma, tutto quello che di solito piace ai bambini. Solo che Paolino era ben deciso a non darla vinta alla mamma e si mise in un angolo, sotto una panchina, la faccetta tutta imbronciata… "eh no eh no - ripeteva - io qua non ci voglio stare… io voglio i miei amici…"
La mamma cercò di convincerlo a giocare un po', c'erano tanti altri bimbi e sembrava si stessero divertendo un mondo… "no - urlava Paolino - quelli proprio non mi piacciono. E poi - esclamò all'improvviso, seguendo un'idea che era arrivata come un lampo nella sua testolina - io voglio una palla. La voglio tutta colorata, grande e ben gonfia…" e via con un altro capriccio esplosivo…
Mentre Paolino urlava e si dibatteva, un bimbo piccolo piccolo si era avvicinato incuriosito. Era un bimbo timido, con pochissimi amici, ma che aveva un segreto: quel bimbo, che si chiamava Ettore, era un po' magico. Come tutti i bimbi timidi e impauriti, aveva infatti un'amico speciale, uno gnomo fatato, di nome Lucio, che nessuno poteva vedere ma che quando serviva era pronto ad aiutare.
Ettore guardava quel bimbo urlante e non capiva il perché di quel capriccio infuocato: "ma come - pensava - è qua con la mamma, in questo parco bellissimo, con tutti i giochi del mondo… cosa vuole di più?"…
Lucio lo gnomo, che come tutti gli gnomi era molto intelligente, aveva però capito il problema, e ovviamente pensò di risolverlo a modo suo… disse due paroline nell'orecchio di Ettore e preparò il suo piano…
Ettore ridendo come un pazzo si avvicinò a Paolino: "Ehi - disse trattenendo a fatica le risate - che ti succede? Ma non lo sai che a fare capricci per niente si rischiano guai?"
"Cosa vuoi tu - rispose Paolino, sempre più arrabbiato e deciso a non darla vinta a nessuno, tanto meno a quello strano bimbo che neppure sapeva chi fosse - che ti interessa, sono affari miei… lasciami in pace"…
"Si si, va bene - replicò Ettore - ma ti avviso. In questo parco, se qualcuno fa capricci, c'è una magia che lo punisce… attento sai, che…. potresti diventare tutto blu…"
Detto, fatto! Lucio schioccò le dita e Paolino si ritrovò blu dalla testa ai piedi!
"Mah mah mah…" strillò Paolino… La mamma, un po' preoccupata un po' stupita, non sapeva cosa pensare, ma all'improvviso vide Ettore che le strizzava un occhio e decise di aspettare…
Paolino si guardava le mani, le braccia, le gambe… tutto di un blu intenso, bellissimo… "Cos'è questa roba? - strillò - e adesso che mi succede?"
"Te lo avevo detto - rispose Ettore - a far capricci si rischia molto… e poi lo sai, no, che non è proprio una gran bella cosa…"
"Non voglio essere blu…. Cosa devo fare?" disse Paolino
Ettore finse di pensarci, che in realtà lo sapeva bene, e poi quel bimbo gli era simpatico e aveva deciso che voleva aiutarlo… del resto, pensava, l'amicizia serve proprio a questo, no? Ad aiutare chi non sa come affrontare le cose…
"Ecco, prova a calmarti un po' - disse così Ettore - e magari, chiedi scusa alla mamma…"
"Scusa? - strillò Paolino - E perché? E' lei che mi ha portato qui, io non volevo. Non mi ascoltano mai… e qua non conosco nessuno…"
"Beh, adesso conosci me, no? - rispose Ettore - e magari, che ne sai, ci sono tanti altri bimbi che aspettano solo di conoscerti… dai, pensaci un attimo…"
Paolino, che in fondo lo sapeva che tutto quello strillare aveva poche possibilità di ottenere risultati, decise che era meglio ascoltare quello strano, e in fondo simpatico bambino… non lo conosceva, ma era venuto a dargli un consiglio… forse… forse meritava davvero di essere ascoltato. E così Paolino si avvicinò alla mamma: "scusa, davvero, non volevo… non lo faccio più" disse un po' esitante ma in fondo sincero.
La mamma lo abbracciò forte, e proprio in quel momento Lucio lo gnomo schioccò un'altra volta le dita. E Paolino, ovviamente, tornò normale!
Felicissimo si girò verso Ettore: "ma tu come ti chiami? - chiese - E perché mi hai aiutato?"
"Io sono Ettore - rispose - e ho voglia di avere nuovi amici. Sai, sono un po' timido, ma lo so bene che per risolvere i problemi è sempre meglio essere in tanti…"
Paolino sorrise "Accidenti, mi sa che hai proprio ragione…" e all'improvviso prese una decisione: quel nuovo posto ancora non lo conosceva, ma forse c'erano tanti altri Ettore che lo aspettavano, e con quello strano timido bimbo accanto, chissà, magari le cose sarebbero anche andate bene…
Lucio lo gnomo, nascosto in una tasca di Ettore, sorrideva sotto i baffi - lo sapete, no, che gli gnomi hanno dei baffoni lunghissimi e folti… - ed era così contento che senza accorgersene schioccò ancora una volta le dita… accidenti che gnomo distratto! Tutto il parco giochi diventò improvvisamente rosso… poi giallo… poi violetto… un arcobaleno di colori che Ettore e Paolino guardavano a bocca aperta…. Poi scoppiarono a ridere: "e vuoi vedere che basta trovare un amico - disse tra le risate Paolino - perché tutto il mondo diventi di mille colori?"…. e in fondo, mi sa che un po' di ragione ce l'aveva davvero, Paolino….

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sabato 8 maggio 2010

Lo strano regalo di Martina

"Si, va bene, ma mi spieghi come diavolo funziona quest'aggeggio!".
Martina si stava davvero arrabbiando. La sua amica Katia le aveva regalato uno strano giocattolo, un affare bitorzoluto, con un sacco di fili penzolanti, quattro bottoncini colorati e delle strane antenne…. "Vorrei proprio sapere che diavolo è!" sbuffò Martina, che certo non era famosa per essere una bambina paziente!
Quello strano regalo era arrivato alla festa di compleanno di Martina: la bimba aveva organizzato una strabellissima festa: la sua piccola casa era stata riempita di palloncini, la mamma aveva spostato per una volta tutti i mobili liberando la piccola sala e, dopo aver appeso festoni colorati ovunque e preparato un sacco di cose buone da mangiare e bere, aveva fatto entrare tutti gli amici di Martina.
Per un intero pomeriggio la piccola casa si era trasformata in un allegrissimo parco giochi. Poi era venuto il momento dei regali, e tra bambole, puzzle, costruzioni, libri e vestitini era apparso quello strano coso…. "Grazie Katia - riprovò Martina - ma proprio non mi vuoi dire che cos'è?"
Katia, che era una bimba simpatica e un po' dispettosa, scoppiò a ridere: "Eh no, Martina - rispose ridacchiando - sei tu che devi scoprire come funziona e a cosa serve…. Se no che regalo è?"
Martina, un po' scocciata, lo mise da parte…. "Va bene - brontolò - ci penserò…"
"Ecco, brava - ridacchiò ancora Katia - poi però fammi sapere!"
Intanto, la festa era ormai giunta alla fine, gli amichetti di Martina stavano salutando e, uno a uno, tornavano alle loro case. "Martina - strillavano a più voci - ancora auguri! Ci vediamo lunedì a scuola! Bella festa eh, grazie di tutto!"
La casa si svuotò quasi all'improvviso. La piccola sala era tutta per aria, palloncini, festoni, coriandoli, piatti e bicchieri ovunque! "Su Martina, adesso aiutami a rimettere a posto" disse la mamma… Le due si misero così al lavoro, ma intanto che raccoglieva le cose sparse, Martina non faceva che pensare a quello strano oggetto che le aveva regalato Katia. "Ma possibile che non potesse regalarmi una bambola come tutti gli altri?" pensava indispettita…"Ve bene, comunque, che mi importa! Ho così tanti giochi che certo non perderò tempo con quel coso che, sono sicura, non serve proprio a niente", decise ad un certo punto. Ogni tanto però adocchiava quell'affare che aveva appoggiato sul divano, e quasi senza volerlo si ritrovava a fare mille ipotesi…. "magari è un gioco elettronico, uno di quelli che fanno tanti suoni strani…" "No, non credo, sembra piuttosto una scatoletta per i miei gioielli…"
"Però, non mi sembra che si apra…"…. Insomma, proprio non riusciva a non pensarci!
Quando finalmente Martina e la mamma finirono di mettere a posto, la bimba stanchissima afferrò tutti i regali - compreso quello strano affare ancora misterioso - e se li portò in cameretta. Qui, senza pensarci nemmeno un attimo, chiamò Carolina - ve la ricordate, no?, la magica bambolina di Martina? - e indovinate un po? Invece di farle vedere tutti i giochi nuovi che i suoi amici le avevano donato, prese quel coso strano - che potremmo chiamare "il bitorzolo", tanto per capirci! - e glielo fece vedere: "Carolina - esclamò - guarda un po' qua! Secondo te, che cos'è quest'affare?".
Carolina, perplessa, lo osservò ben bene. "Mah, io proprio non so! A che serve?" chiese incuriosita. "E' proprio quello che vorrei sapere - rispose Martina - me l'ha regalato Katia, ma non mi ha voluto spiegare un bel niente, dice che devo scoprirlo io!"
"Vediamo un po' - disse allora Carolina - secondo me è una scatoletta…."
"Sarà, solo che non vedo come si possa aprire…"
"Allora, magari è una piccola televisione, vedi quelle antenne?" provò ancora Carolina
"Ma no, dai, e come funzionerebbe? Oltre tutto, non c'è neanche lo schermo!"
"Allora forse è una radiolina…. Hai provato a schiacciare i bottoni?" suggerì la bambolina
"Siiii certo che ci ho provato! Non succede proprio un bel niente!" rispose Martina
Le due amiche, ormai stremate dai tentativi, rimasero a fissare il bitorzolo senza più sapere che pesci pigliare. "Sai che ti dico? - esclamò alla fine Martina - io adesso vado a dormire, sono stanchissima, e poi in fondo… che m'importa!"
Ma Martina continuò invece a pensarci, tanto che quando finalmente si addormentò, finì con il sognare il bitorzolo, e il sogno che fece era davvero strano. Nel sogno c'era infatti una fatina - proprio quella che l'aveva accompagna nella sua magica isola e che ogni volta l'aiutava a raggiungere i posti meravigliosi che la bambina sapeva disegnare - che con il bitorzolo in mano faceva una cosa strana: lo usava come una specie di bacchetta magica, pronunciando strane parole… No, non "sim sala bim" o "bidibi bu" ma qualcosa tipo "sbam pum sbam karakà"… Martina, stupitissima, si svegliò all'improvviso. "Vuoi vedere….".
Corse a prendere il bitorzolo, pronunciò quelle strane parole e…. all'improvviso tutti i bambolotti e i peluche e le macchinine che c'erano nella cameretta presero vita! "Accidenti - strillò Martina - allora è proprio una cosa magica!!!!" Quella notte Martina proprio non dormì. Aiutata da Carolina - e dalla fatina che, pur restando nascosta, era sempre presente! - provò e riprovò ad usare il bitorzolo. La mattina dopo, tutta eccitata, corse a scuola per parlare con Katia. "Ehi - strillò quando finalmente la incontrò - ma mi hai regalato una cosa magica! Quell'affare è capace di far diventare vero ogni giocattolo!!!!"
"L'hai scoperto! - rispose Katia ridendo come una matta - Vero, è proprio magico! Ma lo è solo se sai come usarlo…"
"Beh, io ho sognato le parole magiche…"
"Parole magiche - sussurrò Katia, per una volta seria - che funzionano solo se hai la magia dei bambini…" "E cioè?" chiese Martina, che però cominciava a capire…
"Ma dai che lo sai - ripose Katia - quella magia che si chiama fantasia, e che niente e nessuno può rubare!".
E Martina, da quel giorno, decise che Katia sarebbe stata la sua migliore amica. Chi altra avrebbe potuto farle un regalo tanto meraviglioso?

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martedì 4 maggio 2010

La storia di Zazum

Quella che vorrei raccontare questa sera è una storia un po' triste ma forse anche interessante. Che dite, vi piacerebbe scoprire come ha fatto Zazum a diventare cattivo in un posto così meraviglioso come il "Paese delle Rose"? Zazum… ve lo ricordate, vero? Quel mago tutto vestito di nero che cerca disperatamente di diventare il più potente del suo paese, e ogni volta finisce con l'incontrare una magia speciale, quella dei piccolini… Beh, se vi interessa, questa sera potremmo scoprire chi è Zazum davvero, e perché è diventato un mago cattivo….
Che dite? Inizio?
Si???!!! Va bene, allora.
Ecco. Dovete sapere che Zazum non è sempre stato Zazum. La sua mamma, che era una folletta assai carina, e il suo papà, uno gnomo severo ma anche molto gentile, l'avevano chiamato Zinno….
Che dite, anche quel nome è strano? Già, è vero, ma nel Paese delle Rose non è che ci sono i nomi come li conosciamo noi…. E Zinno a mamma folletta e papà gnomo piaceva davvero tanto, quindi andiamo avanti!.
Dunque, Zinno nacque nel mese di dicembre, che però come ben sapete, era caldo come maggio visto che in quel magico paese non esisteva l'inverno, e le estati erano fresche e profumate…
Era un bimbo carino, con un gran ciuffo di capelli sulla testa e due occhietti verdi verdi che scrutavano tutto il mondo. Già così piccolo, sembrava ben deciso a non lasciarsi sfuggire niente e man mano che cresceva e imparava tutte le cose che i piccoli imparano - che nel Paese delle Rose, a dire il vero, succede molto più in fretta che da noi visto che là la magia certo non mancava! - subissava mamma e papà di domande. "Ma come fanno i fiori a sbocciare?" chiedeva, e "perché gli uccellini volano?", "perché le fate hanno le ali?" "e chi ha dato quei buffi cappelli a gnomi e folletti"….
Mamma e papà rispondevano come potevano, ma non è che sapevano proprio tutto, soprattutto quando Zinno iniziò a fare domande sempre più difficili. "Ma com'è che c'è sempre il sole?". "Come mai gli animali parlano?". "Ma come funziona la magia?"… Insomma, Zinno voleva sapere tutto di tutti, e mamma e papà, ad un certo punto, si stancarono. Del resto, lo sapete, follette e gnomi non hanno certo una gran pazienza, tanto più che in quel magico paese la cosa che più di tutto interessava agli abitanti era stare bene e giocare nei prati e nei boschi.
"Adesso basta Zinno - disse così un giorno la mamma - non puoi continuare a fare tante domande! Vai a scoprire il mondo da solo, se proprio ti interessa!".
Zinno, triste per aver fatto arrabbiare la mamma - che in realtà non era proprio arrabbiata, solo che doveva preparare la cena e non aveva tempo di pensare alle risposte, ma questo Zinno non lo sapeva! - uscì dalla casetta nella quale abitava, casetta che come tutte quelle del Paese delle Rose era fatta di legno, paglia e fiori.
Fuori, Zinno cominciò a pensare: "ecco, la mamma non sa le cose che mi interessano, e adesso non vuol più rispondermi…" Più ci pensava, più la cosa lo faceva arrabbiare. E più si arrabbiava, più pensava cose un po' stupidine… "se mi ha detto così, vuol dire che non mi vuole poi tutto quel bene che dice…"
"E allora io, io… uffa, non mi sta bene questa cosa"… e via di questo passo. Zinno camminava sempre più furibondo, calciando sassi e fiori e sentendosi solo e abbandonato. "Non c'è nessuno che mi vuole aiutare, tutti mi trattano male" pensava ormai arrabbiatissimo. A un certo punto, mentre quasi il fumo della rabbia stava per uscirgli dalle orecchie - che aveva un po' a punta come tutti i folletti - e con la barba da gnomo - che aveva preso dal papà - tutta aggrovigliata, esclamò ad alta voce: "Ah si! E allora vedrete di cosa sono capace!". Perché Zinno, che in fondo era ancora piccolo, non aveva ancora imparato che a volte la rabbia ti fa diventare davvero stupido: credi vere cose che vere non sono, e pensi che nessuno ti capisca, e allora invece di spiegarti e cercare di farti capire, ti arrabbi ancora di più e finisci con pensare e dire cose che proprio non sono vere!
Zinno era così in quella condizione che fa sì che un cattivo pensiero possa improvvisamente diventare la cosa più importante, e purtroppo quel cattivo pensiero arrivò davvero, chissà da dove! "Bene - gli balenò in testa - se nessuno mi vuol bene, allora nemmeno io voglio bene a nessuno. E diventerò il mago più potente del mondo, allora, vedremo chi sarà ad averla vinta! Saranno gli altri a venire da me a chiedere aiuto e a volere risposte, ma io non aiuterò nessuno, e non darò risposte!".
Da quel giorno Zinno smise di far domande e cominciò a studiare la magia. La mamma all'inizio sembrò contenta, poi però capì che c'era qualcosa che non andava, e cercò di capire. Zinno però, troppo orgoglioso, non le raccontava nulla e poco a poco, tra la disperazione e la preoccupazione della mamma, decise di andarsene. Zinno andò ad abitare da solo in una capanna nascosta in mezzo al bosco, e qui per lunghi anni, sempre solo e sempre con i cattivi pensieri che continuavano a balenargli in testa - e non c'era nessuno con cui lui potesse parlare, e il guaio era proprio questo! - lavorò per diventare un grande mago. Un giorno decise di cambiar nome, e scelse, appunto, quello di Zazum, che nel Paese delle Rose è un po' come una parolaccia..; Ecco, da quel momento quel buffo e simpatico bambino che era stato sparì, e al suo posto era arrivato un potente e cattivissimo mago. Nato, ma lui non lo sapeva, da quella rabbia che non aveva saputo né controllare né raccontare… La storia triste, in fondo, è proprio questa: chissà, magari se lui avesse raccontato alla mamma della paura che nessuno gli volesse bene, forse non sarebbe diventato Zazum, e allora nel Paese delle Rose ci sarebbe stato un mago cattivo in meno, e un gnomo-folletto buono in più.

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domenica 2 maggio 2010

Un giorno strano

Tatina e Pallina scoppiarono a ridere felici. Pallino - ricordate? lo scoiattolino dal pelo di mille colori? Ecco, lui! - aveva appena fatto una capriola ma invece di rialzarsi era finito, a testa in giù, in un mucchio di foglie e erba, e adesso non riusciva più a liberarsi. Si agitava tutto e, ridendo a più non posso, invece di alzarsi si ingarbugliava sempre più. E le due fatine, Tatina e Pallina appunto, a loro volta ridevano a più non posso. Incuriosito, si avvicinò uno gnomo, credo si chiamasse Barba, che poi corse a chiamare tutti gli amici. Nel giro di poco il boschetto risuonò delle risate di fatine, gnomi, elfi e animali, tutti divertiti dalle buffonerie di Pallino che, invece di arrabbiarsi, continuava a nuotare tra le foglie e a ridere…
Insomma, l'avrete capito, era una giornata come tante, nel Paese delle Rose, con un bel sole tiepido, qualche nuvoletta che si rincorreva nel cielo, e tanta allegria.
Solo che quel giorno, a dire il vero, non era proprio un giorno come gli altri. Pallino e i suoi amici non lo potevano sapere, ma stava per capitare una cosa che nessuno si sarebbe mai immaginato.
Si, ancora una volta c'entrava il mago Zazum, quel cattivone che nessuno vedeva più da tempo ma che, nascosto chissà dove, ancora tentava di diventare il re-imperatore del Paese delle Rose. E questa volta aveva pensato ad un piano che, era sicuro, avrebbe funzionato! In chissà quale parte del mondo aveva infatti scovato una magia potente, ed era deciso a metterla in pratica.
Tatina e Pallina alla fine decisero di aiutare lo scoiattolino, e sempre ridendo lo liberarono da quel mucchio di foglie che lo aveva imprigionato. "Ecco, pasticcione - dissero - adesso andiamo a far merenda, dai". E stavano per partire alla ricerca di fiori, frutta e nettare quando, all'improvviso, Tatina… Etciii…. Starnutì!
"Ehi - esclamò Pallina - che hai fatto?" "Cos'è quella roba" chiese a sua volta Pallino.
"Oh mamma - disse Tatina - non lo so! Ho sentito un brivido e un solletico al naso…"
I tre si guardarono stupiti, e sempre più stupiti si accorsero che si era levato un venticello fresco, anzi no, proprio freddo…. "Ma cos'è questo che sento?" disse Pallino. Già, perché lo sapete, no, nel Paese delle Rose il freddo non si era mai sentito!
Il vento intanto iniziò a fischiare, le nuvole in cielo invece di rincorrersi felici iniziarono ad unirsi… Il sole sbiadì, e all'improvviso tutto diventò grigio.
"Ehi, che scherzi sono questi?" esclamarono insieme i tre amici. E ancora non avevano finito di parlare che successe una cosa incredibile. Dalle nuvole iniziò a scendere una polvere bianca, prima piano piano, poi sempre più fitta…
Beh, voi lo sapete, era neve! Ma immaginate chi non l'ha mai vista! I tre guardarono increduli quella cosa bianca e fredda che, silenziosa, cadeva sul bosco e sui prati, copriva erba e fiori… "Aiuto - strillarono - che cosa sta succedendo?".
Chiaro, era quella la magia di Zazum! Aveva scoperto come trasformare l'estate dolce del Paese delle Rose in un vero e proprio inverno, gelido e nevoso. E pensava che quando tutto sarebbe stato coperto da una coltre bianca e fredda, gli abitanti si sarebbero rivolti a lui per chiedere aiuto, e così lui sarebbe diventato il più potente mago-padrone del Paese delle Rose.
Mentre Zazum, nascosto in una nuvola che dominava tutto dall'alto, portava neve ovunque, i tre amici preoccupatissimi cominciarono a tremare dal freddo. E con loro tutti gli abitanti del Paese delle Rose, fatine, gnomi, folletti, cervi e cerbiatti, scoiattoli e topolini, conigli e cinghiali… Tutti a battere i denti e a non saper cosa fare per difendersi da quella strana, gelida coperta bianca che stava coprendo ogni cosa.
Gli strani avvenimenti di quello strano giorno finirono con lo svegliare anche un altro abitante del Paese delle Rose, il piccolo e pigro Ghiro. Ghiro era null'altro che una bambinetta di pochi anni, metà fatina e metà folletta. Mamma e papè le avevano dato quel buffo nome proprio perché era assai pigra: appena poteva, scappava a cercare un posto comodo, una tana, un mucchio di foglie, un ramo foderato di foglie e fiori, per schiacciare un pisolino. Quel giorno appunto stava dormendo in un cespuglio di violette, circondata dal profumo dei fiori, quando un fiocco di neve le finì sul naso e la fece starnutire. Ghiro si svegliò stupitissima, e infreddolita. Si guardò attorno senza capire e nel tempo che impiegò a svegliarsi del tutto, la neve coprì ogni cosa. "Ehi, ma che accidenti sta succedendo? - esclamò Ghiro - Cos'è questa roba che fa male e fa venire i brividi? Etchi!". Ghiro si stiracchiò ben bene e decise di andare a cercare la mamma, magari lei sapeva cosa fare…
Solo che Ghiro senza saperlo era anche lei magica, ma la sua magia era speciale e non si era ancora rivelata…. Come tutte le cose del Paese delle Rose, aspettava il momento giusto, e il momento giusto era arrivato!
Perché Ghiro in realtà era una fatina-folletto dell'estate: nata nel mese delle Rose, suo era il compito di proteggere il caldo. E Ghiro, senza neppure accorgersene, lo fece! Quando si alzò, prese in mano un mucchietto di neve e gli soffiò sopra, come per tentare di capire cos'era. Bastò quel soffio, per sciogliere la neve e allora Ghiro cominciò a soffiare a più non posso. Nel giro di poco, tutta la neve era sparita, e Ghiro alzò la testa per soffiare contro le nuvole. E anche in quel caso la magia funzionò! Tutte le nuvole, tranne quella nera di Zazum, si dissolsero in un attimo, e il sole tornò a splendere.
Allora, ancora una volta, si sentì il vocione del mago nero "Nooooo. Non è possibile!" e la nuvoletta nera si allontanò velocissima, spinta dal soffio magico di Ghiro. Mentre si allontanava, si sentì il vocione di Zazum "tornerò, ah se tornerò! E non potrete sempre vincere!"
Quello che Zazum però non aveva ancora capito, era che nel Paese delle Rose ci sarebbe sempre stata una magia più potente di lui, la magia dei piccoli, e nessuno avrebbe potuto far loro del male!
Ghiro, soddisfatta, se ne tornò a dormire, e Pallino, Pallina e Tatina, e tutti gli altri abitanti del Paese delle Rose, un po' infreddoliti ma più che altro divertiti da quella strana avventura, ricominciarono a giocare e a divertirsi. Come sempre accadeva nel Paese delle Rose.

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mercoledì 28 aprile 2010

L'Augusto Imperatore


Questa è la storia piccola piccola di un bambino piccolo piccolo, che aveva però un nome importante. Si chiamava infatti Augusto Imperatore, e tutti lo prendevano in giro. "Chi sei? - dicevano i bimbi - un antico romano? E cavalli ed eserciti dove li hai messi"…. E giù risate.
Perché sapete, Augusto era davvero il nome di un antico imperatore, che è un po' come un re, dell'antica Roma, una città che tanti, tanti anni fa aveva addirittura conquistato il mondo. Augusto, il nostro bimbo, soffriva delle prese in giro, lui che era un po' timido e proprio non si sentiva importante…. Figuriamoci, gli sarebbe bastato avere un paio di amici per scorazzare nei campi a caccia di lucertole - per gioco però - e a raccoglier funghi e frutta. E magari, perché no, inventarsi una gran battaglia, e una gara tra guardie e ladri. Insomma, le solite cose che fanno tutti i bambini del mondo.
Lui però di amici non ne aveva, e quando provava a conoscere qualcuno, appena diceva il suo nome, quello scoppiava a ridere e Augusto, tutto rosso, scappava in ritirata e così finiva con ritrovarsi da solo.
Augusto però non era tipo da arrendersi, e pensa che ti ripensa, gli venne in mente un'idea: "se io mi trovo un altro nome - pensò - allora nessuno riderà, e magari avrò il tempo di fare amicizia". Augusto allora cominciò a cercare un nome, ma gli venivano in mente solo stupidaggini tipo "Lino Calzino", "Saro Rosso", "Lupo Solitario"…. Insomma, proprio non riusciva ad azzeccarci!
Ad un certo punto, mentre brontolava tra sé e sé, un bimbo gli si avvicinò. "Scusa - disse - ma che stai facendo? Parli da solo?"
Augusto, tutto preso dai suoi ragionamenti - intanto aveva pensato altri nomi stupidini tipo "Guido Mutanda" e "Remo Inquieto" - gli rispose distratto "Eh si, mi racconto storie…"
Il bimbo, stupito, gli afferrò una manica "Davvero - esclamò - dai racconta anche me, mi piacciono le storie". Augusto a quel punto pensò "adesso devo proprio…." E cominciò a raccontare…. "C'era una volta un bambino che si chiamava Augusto Imperatore….". Il bimbo lo ascoltò incantato, con gli occhi lucidi, e Augusto parlò delle prese in giro, della voglia di avere un amico, della ricerca di un nuovo nome… "Ecco, disse, questa è la storia".
"Ma è bellissima - disse a quel punto il bambino - sei davvero bravo! Ah, io mi chiamo Fortunato Cavallo, e tu?". Augusto non potè fare a meno di ridere. "Ma dai! Che nome è! Comunque, Augusto Imperatore sono proprio io". E giù tutti e due a ridere come dei matti. Quel giorno diventarono amici, e decisero di fondare un nuovo club - che è un po' come un gruppo di amici - quello dei "nomi strani"…. E Augusto Imperatore trovò un sacco di amici, e imparò anche che, in fondo, è proprio bello ridere insieme.

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Cappuccetto Viola

Due scoiattoli, un cerbiatto e tre passerotti spalancarono gli occhi increduli: una scena così, nel bosco, non si era mai vista! Il lupo, grande, forte e cattivo, correva disperato, la lingua a penzoloni e gli occhi spiritati. Urlando "AIUTOOOOOOOOO" a tutto spiano!
E balzellon balzelloni, dietro di lui, arrivava Cappuccetto Viola, bimba assai carina ma un po' stranina! "Lupo lupettooooo…. Dai non scappare, vieni qui che ti do un bacetto…." Il lupo cattivo non sapeva più come fare! Quella bimba, che viveva con la nonna in una casetta spersa in mezzo il bosco e che ogni giorno si inventava qualche nuovo scherzo, adesso voleva sbaciucchiarlo: "No, no, no - urlava il lupo - non scherziamo dai, io sono un lupo cattivo, non un peluchetto da stropicciare!"
Ma Cappuccetto Viola proprio non ne voleva sapere, e senza dar segno di stanchezza continuava l'inseguimento. A un certo punto il lupo, ormai senza fiato e con la lingua che gli arrivava quasi alle ginocchia, inciampò. Un capitombolo senza fine!!! Cappuccetto Viola, in un baleno, gli fu addosso, decisa a prendersi quel bacetto che sognava….
Per fortuna - del lupo - in quell'istante arrivò come una furia la nonna, che forse avvertita dagli animali del bosco era uscita in un lampo, senza neanche cambiarsi! La nonna, in camicia da notte e cuffietta sulla testa, afferrò Cappuccetto Viola per la collottola. "Ehi, che diavolo stai combinando?". Cappuccetto Viola brontolò un "ma dai nonna, solo un bacetto…" ma, con la nonna che la teneva stretta stretta quasi non riusciva a parlare. Il lupo, nel frattempo, si guardava attorno frenetico, come a cercar via di scampo. "Lupaccio puzzolente che non sei altro - disse la nonna - che aspetti ad andartene? E cerca di non farti più vedere, che proprio non abbiamo bisogno di un lupaccio antipatico e sporco come te!". Il lupo non se lo fece ripetere due volte e, tra le risate degli animaletti del bosco che erano arrivati a frotte per guardarsi lo spettacolo, si infilò in un cespuglio e scappò lontano.
Cappuccetto Viola, nel frattempo, cercava una scusa per la nonna…. "Allora, birbantella, mi spieghi che stavi facendo?"…
"Ehhhh nonna - bofonchiò la ragazzina - ma dai, mi sembrava così carino…."
"Il lupo? Ma sei pazza? No, mi sa di no - disse la nonna, con un improvviso sospetto - vieni qui un attimo…. Ma che hai fatto!"
"Ma dai nonna - cercò di spiegare Cappuccetto Viola - niente, giuro…." Ma a poco a poco la storia venne fuori: quella birbante di Cappuccetto aveva…. Bevuto vino!!!! Con un amichetto era andata al bar, e i due monelli avevano assaggiato un bicchier di vino con il risultato che Cappuccetto si era ubriacata!!!! Ecco spiegato l'improvviso amore per un lupo sporco e puzzolente! Per fortuna la nonna sapeva cosa fare, trascinò Cappuccetto Viola a casa, le fece un bel bagno e le diede un bicchierone di camomilla prima di cacciarla a nanna. La mattina dopo, Cappuccetto si svegliò con un gran mal di testa e la vergogna per quell'inseguimento che aveva fatto ridere tutto il bosco: "ahi ahi - si disse la bambina - mi sa che per assaggiare di nuovo il vino sarà meglio aspettare di esser grande!". E per fortuna, la nonna aveva preparato un gran bicchiere di succo di frutta: "così almeno - disse ridendo la nonna - non andrai a cercar di baciare lupi in giro per il bosco!"

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martedì 27 aprile 2010

Paura nel bosco

Giocchino era disperato. Quel che era successo era gravissimo e senza nessuna spiegazione: la sua radura, il suo posto preferito nel bosco – si, quello dove crescevano i funghi migliori, i fiori più belli e le bacche più succulente – si stava seccando. Prima l’erba si era ingiallita piano piano, poi i fiori si erano seccati e i cespugli raggrinziti, e adesso anche gli alberi che circondavano quel posto speciale sembravo piegarsi sotto il peso dell’età e invece dei verdi brillanti, del marron lucido e delle sfumature senza nome che fanno del bosco uno dei posti più belli del mondo, si vedeva solo una specie di grigio, una patina fumosa che avvolgeva tutto.
“Ma cosa sta succedendo – si chiedeva triste e preoccupato Giocchino – non è possibile, fino a pochi giorni fa andava tutto bene, già si sentiva nell’aria il profumo di primavera…”
Giocchino si guardava attorno disperato, davvero non sapeva cosa fare. Lui quel posto lo conosceva bene. Nonno Carlone – proprio quel nonno che viveva in una casetta ai margini del bosco e che ne conosceva ogni segreto ed ogni storia – l’aveva portato lì fin da quando era un bimbo piccolissimo e ancora traballante sulle gambette. E dopo tanti anni, mai aveva visto una cosa così. “Ah, se ci fosse nonno Carlone – pensava Giocchino – lui saprebbe cosa sta succedendo, e saprebbe anche cosa fare…”
Ma il nonno se ne era andato per qualche giorno, aveva da fare in città, “e mi sa che non torna in tempo…” rimuginava Giocchino. Che continuò a guardarsi attorno, come per cercare una spiegazione a tutto quel disastro che si stava consumando attorno a lui. E mentre guardava, si spostava anche piano piano, attento a tutte le tracce, ai segnali strani che, come gli aveva insegnato nonno Carlone, avrebbero potuto fornirgli indizi preziosi per capire.
Giocchino scoprì ad un certo punto una cosa stranissima. In tutto quel grigiore e quel seccume c’era una striscia verdolina. Non il verde solito del bosco, ma una striscetta pallida pallida, sottile come un capello. Che si snodava però lungo tutta la radura e poi sembrava imboccare decisa verso il bosco. Senza neanche pensarci Giocchino decise di seguire quella striscia verdolina, chissà mai che l’avrebbe portato ad una qualche spiegazione, o magari ad un indizio utile… e Giocchino cominciò a camminare piano piano, attento a non perdere quella sottile traccia. Finì così con l’inoltrarsi sempre più in profondità nel bosco, in una zona dove non era mai stato prima. E cammina cammina, immaginate la sua sorpresa quando all’improvviso la striscia verdolina si interruppe! Alzando gli occhi, vide di esser finito in una radura immensa, una grande spianata ricolma di cespugli, felci, fiori e alberelli. E al centro, una cosa stranissima: un cerchio grandissimo di erba verdissima e profumata, corollata di rose e violette in mezzo alle quali si intravedeva una specie di pinnacolo…
Giocchino, che lo sapete no?, non aveva mai paura di nulla men che meno quando era in un bosco, si avvicinò cauto. E scoprì che il pinnacolo era in realtà un enorme cappello in equilibrio su un testone… di cosa? Boh! Giocchino non aveva mai visto una cosa così!
Il testone sembrava appartenere ad una specie di gigante infilato fino al collo nel terreno umido del bosco. Aveva due enormi occhi a palla, un cespuglio di capelli che ricadevano fin sulla fronte e le orecchie che parevano padelle… Giocchino si avvicinò a bocca aperta, attento a non calpestare nulla che potesse far danni, e quando fu abbastanza vicino si schiarì la gola… tanto per far sapere a quel coso che era lì… “ehm ehm… scusi…”
Il coso spalancò gli occhioni, e Giocchino vide che erano del verde più verde che il bosco potesse avere, ma erano anche pieni di lacrime…
“Ehi, ma tu chi o cosa sei?” chiese Giocchino, che come sempre non perdeva tempo…
Il coso strabuzzò gli occhi, anche a lui non doveva esser capitato tanto spesso di veder un bimbo umano. “Come chi o cosa sono? Io sono un groll” rispose con una voce tonante ma stranamente un po’ incrinata, proprio come se stesse piangendo.
“Un groll? E cosa sarebbe?” disse uno stupitissimo Giocchino, che proprio quella parola non l’aveva mai sentita
“I groll sono… sono… ecco, come faccio a spiegartelo… i groll sono il bosco, le piante, l’erba, i fiori… siamo l’anima della terra, il cuore delle foreste, lo spirito che alimenta la vita verde…”
Giocchino sgranò gli occhi. Nonno Carlone, che pure sapeva tante cose e alcune anche parecchio strane, non gli aveva mai detto una cosa del genere. Ma davvero i boschi hanno un’anima? “Ma dai, mi stai prendendo in giro…” brontolò il bimbo.
“E tu pensi che io ne abbia voglia? Avrei così tanto da fare – sospirò il groll – che certo non ho tempo e voglia di prenderti in giro…” e tirò su con il nasone, una gran strombazzata che fece tremare l’erba attorno a lui e risuonare il bosco.
“Ma tu stai piangendo – disse Giocchino – si vede che sei triste… ma perché?”
Il groll sembrò pensarci un attimo, poi prese una decisione e rispose. “Non so se devo dirtelo, e non so nemmeno se faccio bene a parlare con te – disse con il suo vocione – non credo sia una gran bella cosa che gli umani sappiano di noi e della nostra esistenza… ma tant’è, non so come hai fatto, ma sei arrivato fino a qui, magari è così che le cose devono andare… vedi, si, sto piangendo. Qualche giorno fa è successa una cosa incredibile…”
E il groll raccontò: nella sua radura non veniva mai nessuno, nascosta com’era nel più fitto del bosco e protetta da una serie di magici incantesimi che la rendevano invisibile anche a quegli incauti che passavano lì vicino. Ma qualche giorno prima, una folata improvvisa di vento aveva spinto contro i grandi occhi del groll un grosso ramo strappato da un castagno ormai vecchio e secco. Il ramo, neanche a farlo apposta, aveva colpito l’occhio del groll, un colpo secco e violento che per un lungo istante l’aveva accecato. E il groll, dolorante e sorpreso, si era distratto. Un attimo solo, ma era bastato. Perché proprio in quel momento un cacciatore che stava cercando lepri lì nei dintorni aveva esploso un colpo di fucile. E quell’attimo di distrazione aveva abbassato la potenza degli incantesimi che proteggono il groll e la sua radura. Così, un proiettile aveva imboccato una direzione imprevista e senza che il groll potesse far nulla si era infilato in uno dei suoi enormi orecchi.
“E così – sospirò disperato il groll – adesso ho dentro di me una di quelle cose velenose che voi umani sapete fare così bene. L’orecchio mi brucia e mi fischia, e io non riesco più a star dietro a tutto il mio regno…”
Giocchino spalancò gli occhi. Vuoi vedere, pensò, che è questa la spiegazione? Un po’ titubante, ma deciso a cercare una soluzione, chiese al groll se poteva aiutarlo. Gli avrebbe permesso di dar un’occhiata all’orecchio ferito?
Il groll all’inizio non sembrava fidarsi tanto, ma poi pensò “che male mi può fare, così piccolo e deboluccio?” e acconsentì.
Giocchino allora, cautamente, si avvicinò all’enorme orecchio. Tirò fuori dallo zaino che aveva sempre con lui una torcia, ed un coltellino – che gli aveva regalato nonno Carlone e gli era stato utile in tante occasioni!
E aguzzando la vista lo vide, il proiettile c’era, proprio infilato in quell’enorme orecchio… allora, pensando a tutto quello che il nonno gli aveva insegnato su come fare a togliere gli ami dai pesci, o su come medicare le ferite, usò il coltellino con delicatezza, fino a quando non riuscì a spostare il proiettile. Poi, con due dita, tirò delicatamente e lo estrasse. E per finire l’opera, aprì lo zaino dove teneva bende e cerotti e medicò la ferita. Il groll, che aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo, tirò un enorme sospiro, e poi sbottò “ehi! Ma non mi fa più male, ma come hai fatto?”
Giocchino ridendo glielo spiegò, e gli fece anche vedere quel pezzetto di piombo che tanti danni aveva causato. Il groll, finalmente felice, lo ringraziò, e gli fece una promessa: “questo bosco, tutto questo bosco, sarà sempre casa tua. Qua sarai sempre il benvenuto, e sarai sempre protetto e aiutato in ogni occasione! Chiedi, e otterrai!”
Giocchino ci pensò un po’ su, ma c’era solo una cosa che in quel momento voleva: tornare a vedere la sua radura verde e viva come era sempre stata.
“E così sarà!” disse il groll, che dopo un ultimo saluto tornò a chiudere gli occhi, di nuovo concentrato sullo spirito vitale del bosco. Giocchino allora riprese la strada di casa, e quasi gli sembrava che ogni albero, ogni cespuglio, ogni fiore ed ogni filo d’erba si inchinasse festoso al suo passaggio. E quando arrivò alla sua radura, incredibile ma tutto era tornato a posto! Giocchino, felice, si avviò verso casa, pensando che questa volta era lui, ad avere una storia fantastica da raccontare a nonno Carlone!

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lunedì 26 aprile 2010

La mora orso

Eravamo ormai quasi alla fine dell'estate, stagione perfetta per una delle cose che più di tutte piacevano a Giocchino e a nonno Carlone: girar per boschi alla ricerca di dolci, succose e deliziose more.
Quel giorno nonno Carlone si era proprio svegliato con una gran voglia di more, che lui non lo diceva, ma era un nonno assai goloso, soprattutto delle prelibatezze del bosco, e quando la mamma di Giocchino, la signora Giuditta, preparava la sua famosa marmellata di more che serviva per le ancora più famose crostate di more, nonno Carlone guarda caso finiva sempre per essere il primo ad assaggiare…
Comunque, dicevamo che quel giorno nonno Carlone aveva intenzione di visitare il suo posto segreto delle more, una radura nascosta nel fitto del bosco dove crescevano un sacco di rovi, che sono i cespugli che danno appunto le more. E così, ovviamente andò a cercare il suo nipotino. "Giocchino - gli disse - hai voglia di fare una bella passeggiata, e una bella scorpacciata di more?"
Inutile dire quel che gli rispose Giocchino! Tempo cinque minuti e i due, armati di stivaloni, bastoni e cestini, erano pronti per l'avventura.
La passeggiata, come sempre, vide nonno e nipote chiaccherare fitto fitto, raccontarsi mille storie e mille storielle, senza mai dimenticarsi però di guardarsi ben bene attorno perché, lo sapete, il bosco è davvero un posto un po' magico. Alberi fruscianti, fiori e cespugli odorosi, animaletti timidi che sbirciavano incuriositi quei due… nonno Carlone e Giocchino videro così tre scoiattoli arrampicarsi veloci veloci su un grande castagno, dove i ricci cominciavano appena appena a formarsi, e un coniglietto dal musetto buffo che cercava di sgranocchiare una ghianda e scappò via lesto per nascondersi dietro un tronco…
E poi ancora, in lontanaza si sentivano i fruscii dei cervi, il canto dei merli e gli strilli delle acquile… insomma, di cose da vedere ed ascoltare, nel bosco, ce ne erano davvero tante, e nonno e nipote lo sapevano bene, per questo amavano così tanto quelle passeggiate!
Alla fine, dopo una lunga camminata su per sentieri nascosti, arrivarono al posto segreto di nonno Carlone. Che, più che mai soddisfatto, si accorse che i rovi avevano fatto il loro dovere, e che la stagione era davvero quella giusta! Tutto attorno a loro, infatti, c'erano more perfette, nere, lucide e profumate. I due cominciarono a raccoglierle, nonno Carlone riempiendo in fretta il cestino, Giocchino un po' meno… il bimbo infatti metteva si una mora nel cestino, ma altre cinque se le infilava in bocca!
Per fortuna, le more erano così tante che davvero non era un problema! Nonno Carlone, ad un certo punto, scoppiò a ridere: si era accorto che nella foga di divorar more, Giocchino aveva finito con il colorarsi di nero-viola tutta la bocca e anche il mento… "Ma guardati - disse ridendo Carlone - mi sembri quasi un orso Panda! E adesso, come lo spieghiamo alla mamma!"
"Ma dai - rispose Giocchino, anche lui ridendo - che anche la mamma ama le more! Me lo hai raccontato tu, che quando veniva con te erano più quelle che si mangiava che quelle che portava a casa!"
"Proprio vero - disse il nonno - ma mi sa che è meglio che non ti racconto più le cose che faceva la tua mamma, o finisce che ogni volta mi prendi in giro…" Nonno Carlone si interruppe all'improvviso spalancando gli occhi: mentre parlava, infatti, si era girato ed aveva visto una cosa incredibile. Una mora enorme, perfetta, nera e lucida che spiccava nel verde del cespuglio… il sogno di ogni cercator di more! E senza pensarci un istante, allungò la mano per acchiapparla.
Suossshhhh… Grrrrrrr…. Ahioooooo…. Accipicchia! Non era una mora! Nonno Carlone se ne accorse subito, ma ormai aveva stretto e tirato una cosa molliccia e calda…. E un istante dopo scoprì cos'era: il nasone di un orso gigantesco che stava facendo un riposino nascosto dietro i rovi!
"Ohi - disse nonno Carlone a Giocchino, che era rimasto senza parole per la paura - e adesso?"…
L'orso, arrabbiatissimo, guardò i due e strillò con voce roboante: "Ehi! Come hai osato! Mi hai fatto un gran male! Adesso vedi che ti faccio!"
"Signor Orso, per carità, è stato un incidente - disse nonno Carlone - davvero non volevo farle del male! Cosa posso fare per lei? Mi perdoni, la prego!"
L'orso, con gli occhi che lanciavano fiamme, sembrava davvero arrabbiatissimo e Giocchino, che sapeva che in certi casi meglio non perder tempo e mettersi gambe in spalla per trovar rifugio il più in fretta possibile, era quasi pronto a scappar via trascinando con sé nonno Carlone. All'improvviso però l'orso vide il cestino ricolmo di more di nonno Carlone… "Ah, tutte quelle hai raccolto - disse - allora sai cosa facciamo? Me le dai, così mi risparmi la fatica di coglierle e il rischio di pungermi con i rovi, e in cambio io ti lascio andare…"
Nonno Carlone non ci pensò due volte, e gli diede il cestino che l'orso svuotò in un istante… "buone - disse poi - e adesso, andate via, e fatemi il piacere, vedete di non farvi più vedere… il naso mi fa ancora male!"
Nonno Carlone afferrò Giocchino per un braccio e fece un rapido dietro-front… i due rifecero la strada di corsa, quasi senza parlare tanta era stata la paura presa. Finalmente, con il fiatone e i cestini vuoti, arrivarono a casa.
"Già qui? - chiese mamma Giuditta - Allora, avete trovato le more?"
I due, ancora con il fiatone, scossero la testa desolati. "Ma come? Eppure, vedo le tracce sulla tua bocca Giocchino" rise la mamma, che però poi si accorse che qualcosa non andava… Nonno e nipote, alla fine, raccontarono l'avventura, e, visto che tutto era andato bene - a parte le more perse, ovvio! - scoppiarono tutti a ridere! Quel giorno, niente crostata di more, anche se per fortuna la mamma aveva preparato uno splendido budino di cioccolata, ma quante prese in giro per nonno Carlone, che non sapeva distinguere una mora da un nasone!

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Lo scoiattolo Pallino

Era una pigra giornata estiva, con tanto sole e un bel venticello che rinfrescava la pelle… beh, si, come tutte però! Perché ve lo ricordate, no?, che nel "Paese delle Rose" è sempre estate ma non fa mai tanto caldo da scoppiare…. Insomma, va bene, una bella e tranquilla giornata come tutte quelle che si sono succedute nel magico Paese delle Rose. Però una cosa diversa, a dire la verità, c'era in quel giorno particolare di cui vi voglio parlare: sulla cima di un albero, in un buco del tronco tutto foderato di foglie tenere e fiori profumati, era nato uno scoiattolino.
Niente di strano, direte ancora. Si, però quello scoiattolino era davvero speciale, anche per un posto e un tempo dove la magia esisteva per davvero e dove tutti gli animali sapevano parlare e facevano cose meravigliose. Quello scoiattolino, che mamma e papà - con ben poca fantasia - chiamarono Pallino, era nato con il pelo…. tutto a pallini. Ma non pallini neri o rossi, come avrebbe anche potuto essere non dico normale ma comunque non poi tanto strano. No. Pallini di tutti i colori! C'erano il rosso, il nero e il bianco, ma anche verde, blu, giallo, viola…. Sembrava che tutti i coloratissimi e profumati colori del "Paese delle Rose" si fossero dati appuntamento sul pelo del piccolo scoiattolo. Mamma e papà si guardavano stupiti: "com'è possibile" pensavano "e cosa diranno i nostri amici?".
E così per qualche giorno non dissero a nessuno che era nato il piccolino, pensando di tenerlo nascosto per vedere se, crescendo, il pelo tornava normale. Solo che Pallino cresceva si, ma i colori invece di diminuire aumentavano, e mamma e papà, sempre più imbarazzati e anche un po' spaventati, proprio non sapevano cosa pensare.
Un bel giorno, quando ormai Pallino era diventato uno scoiattolino capace di saltare da un ramo all'altro, il cucciolo, curioso come tutti i piccoli, decise di vedere com'era quel mondo che si intravvedeva ai piedi del grande albero. "Mamma e papà non mi fanno mai uscire - pensò - ma io non ne posso più di stare sempre quassù. Chissà quante cose meravigliose mi sto perdendo". Pallino aspettò allora che mamma e papà si allontanassero, che era ora di andare a raccogliere un po' di cibo - noci, frutta e fiori deliziosi da sgranocchiare alla fine del pasto - e quando fu sicuro di essere solo mise il musetto fuori dalla tana… "Oplà - si disse ad alta voce - adesso è il mio turno"
E veloce come sanno essere gli scoiattoli, scese lungo il tronco fino ad arrivare sul terreno. Qui ebbe la prima sorpresa: niente rami e foglie, solo un vero mare d'erba, morbida e profumata, e un'infinità di fiori di tutti i colori. Che spettacolo! Pallino spalancò gli occhi e rimase a guardare, affascinato, tutto quello che lo circondava.
Non lontano dal suo albero vide un gruppetto di fatine che svolazzavano, ridendo felici, da un fiore all'altro. Dall'altra parte due tartarughe si inseguivano e si chiamavano mentre un folletto, con un gran cappello verde, si teneva la pancia dal gran ridere. Due cervi in amore si strusciavano e si dicevano paroline dolci, e un passerotto un po' cicciotto - forse era proprio Ciccio, ve lo ricordare - giocava con una fatina bionda….. insomma, tutto attorno a lui il "Paese delle Rose" viveva un'altra meravigliosa giornata di gioia e allegria.
All'improvviso però Pallino vide una strana cosa, strana anche per lui che non aveva mai visto il mondo ma ne aveva sentito parlare da mamma e papà. In alto, nel cielo azzurro, arrivò una strana, grande ombra. Tutta nera, con lampi rossi che la attraversavano, in pochi minuti coprì tutto il bosco dove si trovava Pallino. Che, senza nemmeno sapere perché, sentì un'improvvisa paura. Lo scoiattolo iniziò a tremare, e con lui tutti gli animali e tutte le creature fatate che fino a quel momento avevano giocato felici, sentirono improvvisamente che era arrivato un pericolo.
Pallino guardò in alto, e proprio mentre alzava gli occhi, sul bosco rimbombò una gran voce. "Sono tornato - tuonò la voce, che non era nessun'altro se non il cattivo mago Zazum - e questa volta non riuscirete a scacciarmi. Io sarò il vostro re, o coprirò per sempre il sole e tutti i boschi, gli alberi e i fiori moriranno".
Pallino, che non aveva mai sentito parlare di Zazum - ma voi vi ricordate di lui, vero? - non capì bene che cosa voleva, ma sentì che non era una bella cosa, e che non poteva restarsene a guardare. "Coprire il sole - pensò - far morire boschi, alberi e fiori… ma cosa mai vorrà quell'ombra nera? Non è proprio una bella cosa, questa!". Pallino allora si guardò in giro. In un angolino del bosco vide una cosa che lo incuriosì… un raggio di sole che era riuscito a sfuggire all'ombra di Zazum. Pallino, senza nemmeno sapere perché - che lui non lo sapeva, ma anche lui era un animaletto magico - corse in quella direzione e quando arrivò proprio sotto il raggio successe una cosa incredibile. Tutti i pallini colorati del suo pelo improvvisamente sembrarono prendere vita. Il raggio si moltiplicò e si trasformò in un grande, coloratissimo arcobaleno che, in un attimo, si scagliò contro la nuvola nera di Zazum. E tutti i colori luminosi del mondo sciolsero quel brutto nero… si sentì un urlo "Nooooooo, non è possibile! Ancora!", e poi la nube, e con essa Zazum, sparì nel nulla.
Animali, folletti, gnomi e fate guardarono a occhi spalancati quel piccolo scoiattolino che, senza nemmeno saperlo, aveva salvato il loro mondo, poi esplosero in urla di gioia e festeggiarono Pallino che, un po' frastornato, si ritrovò trasformato in eroe. E da quel giorno, mamma e papà non lo tennero certo più chiuso nella tana, tutti volevano conoscerlo, e tutti gli volevano bene. Tutti, ovvio, tranne il cattivo mago Zazum, ancora una volta sconfitto da un animaletto piccolo piccolo!

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